In giro per Genova con Gezmataz
Il reportage da Gezmataz Festival, alla sua diciannovesima edizione
La formula della moltiplicazione delle location, per i festival di caratura, se da una parte offre il destro alla latitanza distratta di chi si attende sempre il medesimo spazio contenitore, d’altro canto aiuta a scoprire luoghi poco valorizzati delle nostre città.
A Genova ad esempio, da diciannove anni sede del Gezmataz Festival organizzato dal chitarrista e compositore Marco Tindiglia, il concerto iniziale di una lunga e variegata tornata dipanata su dodici giorni si è svolto nella recuperata area archeologica dei Giardini Luzzati: è un piccolo anfiteatro romano dove si allenavano i gladiatori, poi abitato nel medioevo, poi dimenticato e interrato. Oggi una meraviglia misteriosa, e lì ha suonato il trascinante Subconsciuos Trio tutto al femminile, un disco all’attivo notevole, Water Shapes. Monique Chao, pianista dal tocco serrato ma lirico è di origine taiwanese, l’esplosiva batterista Francesca Remigi è italiana, la contrabbassista eccellente Victoria Kirilova è bulgara. Ne sentiremo parlare.
Nell’impossibilità di dar conto di tutto, accenderemo qualche spot sulle proposte più innovative e fresche, a volte decisamente inaspettate: come quella del Trio Fairgrounds di Jeff Ballard, batterista molto vicino alla fusion e notoriamente piuttosto affetto dall’horror vacui sonoro, che invece a sorpresa s’è costruito un triangolo davvero particolare, con il clarinetto basso di Joris Roelofs, e la chitarra elettrica di David Doruzka. Palette timbrica decisamente inconsueta, allora: con omaggi a Dolphy - che del clarone fu una stella – e a Monk, come si suol dire, “da incorniciare”.
Un uragano di applausi se l’è presi anche il giovane chitarrista californiano Julian Lage, astro nascente Blue Note, col suo trio al Porto Antico. Lage può suonare crepuscolare e minimalistico o dirompente, in corruschi accordi ribattuti, sempre con un controllo delle dinamiche quasi ultraterreno, permettendosi un assolo arpeggiato in “chicken picking” tutto in dissonanza. Bill Frisell ha un degno erede.
Magnifica l’esibizione nella romanica chiesetta dei S. Cosma e Damiano di Anaïs Drago con i suoi violini, in solo totale, come il suo ultimo disco: sussurri e grida dai crini, scatti ritmici, loop eleganti con la pedaliera, un flusso che sembra autoincantatorio, ma non lo è. Con bis bachiano, senza amplificazione, a memoria.
Gli Antares Flare, sestetto giovanissimo con musicisti da Italia, Malta, Slovenia e Olanda maneggiano tutti bene l’elettronica, affiancata sempre a fiati, ritmica e chitarra: se le dinamiche più “psichedeliche” fossero più accentuate e grintose, la musica ne guadagnerebbe. Chi invece è al culmine della propria maturazione è senz’altro Alberto Mandarini, tra i migliori e meno celebrati trombettisti italiani. Era in scena con l’eccellente quartetto guidato da Lorenzo De Finti, e la presentazione di Mysterium Lunae ha offerto un’ora incantante di musica, tra intuizioni alla Kenny Wheeler e il ricordo del miglior Metheny.
Consueta classe danzante di Maestrale, il trio guidato dall’organettista Filippo Gambetta che ora ha in formazione i tasti preziosi di Fabio Vernizzi, oltre al violino di Sergio Caputo.
Sorprese? La vocalist di origine giapponese Yumi Ito a Palazzo Ducale, sorprendente e fresca miscela di Joni Mitchell, Björk e Dolores O’Riordan, e il Baroque & Jazz con la chitarra elettrica dell’organizzatore, Marco Tindiglia, affiancata a fisarmonica, violoncello e flauto dolce. Haendel, Bach, il blues, Greensleeves, tutto assieme: come una macchina del tempo che ci riportasse i Pentangle trasfigurati.
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