Gand: immagini di donna per Tristano e Isotta
Non convince la messa in scena di Philippe Grandrieux
Il francese Philippe Grandrieux è famoso per i suoi film dalle scelte spesso radicali ed anche nel firmare la sua prima regia d’opera ha optato per una misura drastica, niente sottotitoli, perché la sua idea di base è stata quella di volere immergere lo spettatore in un flusso musicale e visivo emozionale primordiale. La storia bisognava conoscerla prima, e l’Opera Ballet Vlaanderen ha offerto più materiale informativo del solito, ma nonostante ciò, anche da parte di chi conosce bene l’opera e capisce un po’ il tedesco, è mancato il supporto dei sottotitoli che fanno assaporare nota dopo nota ma anche parola dopo parola, in modo pieno, Tristano ed Isotta dove, come si sa, succede assai poco e le parole sono ancora più importanti perché solo comprendendo appieno il senso dei lunghi scambi verbali tra i protagonisti si riesce a entrare in modo completo nel vortice sempre più serrato tra sentimenti contrastanti di amore, odio e desiderio inappagabile. Una scelta quella di Grandrieux che, forse, poteva funzionare per altre opere, ma qui invece risulta solo impoverente, senza regalare abbastanza altro in cambio. Le scene, dello stesso Grandrieux, si riassumono in un fondo nero su cui dominano le proiezioni, per tutte le quattro ore di spettacolo, su di un velo antistante il palcoscenico, di particolari del corpo di donna nuda con espressioni che vanno dalla disperazione ad una sorta di abbandono estatico - mani, viso, pancia, seni, piedi, il sesso - immagini sfocate, sovrapposte, perfettamente però in sintonia con l’indeterminatezza della struggente musica di Wagner, con le sue dissonanze, le sue cadenze incomplete, il suo massiccio ricorso al cromatismo. Un corpo che è mostrato nella sua crudezza di poca carne e sotto ben visibili le ossa, non eroticamente sensuale ma espressivo di angoscia e disperazione, nevrotico, un corpo che trasuda sofferenza, che sembra galleggiare a tratti nel vuoto come in un grembo cosmico, un corpo che sembra altre volte dissolversi in una sorta di bruma nordica od in una specie di schiuma primordiale. Video soltanto di una donna, arricchiti nel secondo tempo da piante che pure si moltiplicano e poi scompaiono, la figura di Isotta quindi viene esaltata, la principessa diviene ancora di più la protagonista centrale del dramma. Anche perché interpretata dal bravissimo soprano argentino Carla Filipcic Holm che domina la scena con la sua voce morbida, piena e possente, dagli acuti di spessore e pianissimo delicati ben sostenuti, Nei panni di Tristano è invece il tenore australiano Samuel Sakker pure dalla bella voce e buona tecnica, ma non abbastanza volume per reggere il confronto con il soprano e per superare sempre l’orchestra, che dà quindi il meglio nei suoi assoli dove da prova di struggente tormento. Sul podio l’argentino Alejo Pérez, direttore musicale dell’Opera Ballet Vlaanderen, sopratutto nella prima parte è sembrato a tratti accelerare troppo, e pure ricorrere al forte un po’ troppo spesso, bombardando più che avvolgendoci nelle spire della musica di Wagner, poi la sua direzione si è fatta più distesa, fluida e convincente, sino ad arrivare al meraviglioso finale della morte dei due protagonisti reso con la dovuta estrema tensione drammatica che si dissolve nella morte inevitabile anche di Isotta, e che il regista risolve visivamente facendo scomparire pure la donna piano piano nel nero assoluto. Da notare che il maestro Pérez ha chiesto per l’occasione la realizzazione di una tromba naturale secondo le istruzioni lasciate da Wagner ed il cui suono particolare, anche se solo per pochi istanti, ben si è notato nel terzo atto quando annuncia l’arrivo della nave. Completano il cast il mezzosoprano tedesco Dshamilja Kaiser come l’ancella di Isolda Brangäne, si fa notare per il suo bel timbro il basso-baritono tedesco Albert Dohmen come re Marke ed il baritono italo-tedesco Vincenzo Neri che ben interpreta Kurwenal, lo scudiero di Tristano. Tutti cantanti di livello ma penalizzati nell’interpretazione da una regia molto statica, solo con pose mantenute, sopratutto giocate sulle braccia e posizione delle gambe. Il coro, diretto da Jan Schweiger, è ancora meno visibile, comunque piacevole nei suoi interventi. I costumi semplici ma efficaci sono sono del belga An D’Huys. In coproduzione con l’Opéra de Rouen Normandie.
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