GAMO: compleanni contemporanei
A Firenze i 40 anni del Gruppo Aperto Musica Oggi, e i 70 di Roberto Fabbriciani, nel programma del Festival del Maggio
Coerente, rigoroso, anche orgoglioso del proprio cammino che prende le mosse proprio a Firenze agli inizi degli anni Ottanta il GAMO - Gruppo Aperto Musica Oggi – di per sé già sintesi di un chiaro messaggio programmatico – festeggia i suoi quarant'anni, e non poteva farlo che rafforzando il proprio ruolo di faro indagatore sulle musiche di ricerca con un concerto su repertori di grande interesse.
Che poi questo avvenga nella Sala Orchestra del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino è segnale positivo di un lento ma irrimandabile avvicinamento tra storiche istituzioni accademiche e le realtà contemporanee della città. Le collaborazioni, oltre il GAMO, con Tempo Reale e ContempoArtEnsemble, i concerti di Maggio Contemporaneo nel cartellone di quest’anno lo certificano inequivocabilmente. L’accostamento poi al compleanno del flautista Roberto Fabbriciani, della nuova musica protagonista tra i più riconosciuti e acclamati oltre che vivace protagonista di tante stagioni del GAMO, scelta condivisibile sul piano musicale che emozionale.
Tempo reale: la luce e il corpo moltiplicato
Proprio Fabbriciani apre i due set con opere per flauto solo, Midi di Franco Donatoni e Donax di Ivan Fedele. Oltre che confermare un rapporto con il suono unico, come quel gesto sempre coerente come teatralità, tangibilità legata alla fisiologia dello strumento, il flautista ci introduce, ci guida in mondi alquanto diversi. Donatoni ci intriga con i suoi incastri criptici, brevi cellule in movimento che si rincorrono, accelerano, riflettono. Una esplorazione di chiaro scuri materica e ordinata che mai trova una sua finalizzazione, non cerca effetti, ma lascia aleggiare un senso profondo di incompiutezza. Se per Donatoni il rapporto con il suono non è prioritario per Fedele (che pure ne è stato allievo) in Donax risalta come strada maestra. Slap, vibrazioni, sovracuti, soffi, il flauto alterna sogni ancestrali a spruzzi astratti in un susseguirsi nervoso di quadri, in una filigrana elegante, trasparente e leggera.
Basta con il minimalismo
Dobbiamo ringraziare Francesco Gesualdi – direttore artistico del GAMO, qui anche direttore del GamoEnsemble – per la coraggiosa scelta dei repertori tra Donatoni / Fedele, in una possibile lettura di continuità maestro-allievo, come per una direzione coerente e attenta al dettaglio potendo contare su un ensemble di notevole personalità.
Lumen per ottavino, clarinetto basso, celesta, vibrafono, viola e violoncello, risulta ampiamente esemplificativo della filosofia donatoniana. Composizione che si sviluppa in un progressivo accumularsi di materiali che vanno in collisione, mantenendo però una propria entità si fanno protagonisti di una architettura complessa che sfugge virtuosismi esponendo nella densità complessiva del suono una concreta drammaticità. Un labirinto del tessuto musicale dove i lampi metallici della celesta contrastano con la gravità leggera del clarinetto basso, mentre ottavino e vibrafono si rincorrono e le corde mantengono uno sfondo saturo.
Se Lumen trova anche nella brevità una propria capacità comunicativa L’ultima sera per voce, flauto, clarinetto in si bemolle, violino, violoncello e pianoforte, rivendica invece, in una suddivisione per quadri tra loro correlati, un respiro più ampio e complesso. Un collage di testi liberamente tratti e assemblati da Una sola moltitudine di Fernando Pessoa dà vita ad una affascinante drammatizzazione su tematiche esistenziali dove la musica rinuncia ad ogni descrittivismo per immergersi nei meandri della creazione tra dolore e meraviglie.
Il tratto compositivo di Fedele si caratterizza per un impianto sonoro immaginifico e multiforme, si allontana dalla densità drammatica del maestro Donatoni a favore di forme in continuo movimento che costruiscono una sceneggiatura filigranata e luminosa. Immagini da Escher per flauto, clarinetto in si bemolle e clarinetto basso, vibrafono, pianoforte, violino e violoncello, si avventura nelle visionarie metamorfosi spaziali, gioco di specchi del grafico olandese con architetture a sua volta spericolate in un (im)possibile dialogo tra forme e suoni. Gli spunti geometrico-figurativi generano altrettante dilatazioni dei suoni.
Maja vede l’ampliamento dell’organico alla voce, che risulta decisiva negli equilibri dell’opera. Con i versi di Giuliano Corti è dedicata alla ninfa della mitologia, con l’accostamento della voce ora recitante, cantante o declamante offre alle tre parti dell’opera, un andamento mosso, di brillante espressività. Voce sempre dentro il contesto strumentale come guida, sia nei momenti più nervosi che nelle staticità. Con l’uso del microfono la voce si distorce, accentuando consonanti palatali, dentali e sibilanti, un sussurrare ritmico e coinvolgente mentre dietro gli strumenti tracciano panorami inquieti. Il pianoforte con una nota risonante segna i cambi di scenario fino ad un finale di quasi silenzio.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Al Teatro Filarmonico debutta l’opera verdiana in un allestimento del Teatro Regio di Parma