Francesca da Rimini conquista Strasburgo

L’opera di Zandonai presentata con successo all’Opéra du Rhin in un riuscito allestimento di Nicola Raab

Francesca da Rimini (foto di Klara Beck)
Francesca da Rimini (foto di Klara Beck)
Recensione
classica
Opéra du Rhin, Strasburgo
Francesca da Rimini
08 Dicembre 2017 - 08 Gennaio 2018

L’opera di Zandonai approda all’Opéra du Rhin, che, secondo gli annali, la ospita per la prima volta nella sua storia registrando un grande successo (e dal 15 aprile andrà in scena anche alla Scala con la direzione di Fabio Luisi e la regia di David Pountney). La ricetta segue la formula consolidata del tenore che ama il soprano a spese dell’onore del baritono, che nella fattispecie sono Paolo il Bello, la cognata Francesca da Polenta e il marito di lei e fratello di lui Giovanni lo Sciancato. A questi si aggiunge pure il fratello minore Malatestino, anche lui menomato nel fisico (ha perso un occhio in battaglia) e non esattamente eticamente irreprensibile, che pure vorrebbe togliersi qualche sfizio con la cognata. Respinto da Francesca, il Malatestino la denuncia al geloso coniuge che infilza lei e l’amante colti sul fatto. La marcia in più per quest’opera è data dalle immaginifiche acrobazie verbali della tragedia dannunziana, acconciata a libretto da Tito Ricordi, ma soprattutto dai preziosismi musicali di Riccardo Zandonai per nulla appiattito sugli stereotipi dell’efferato melodramma malavitoso in voga all’epoca e piuttosto aperto a modelli post-wagneriani (vapori del Tristan si respirano qua e là) se non addirittura a un certo gusto floreale di matrice francese.

Lodevole e opportuna quindi la scelta di Strasburgo, città cerniera fra civiltà anche musicali diverse, tanto più che l’opera è stata presentata al meglio, impegnando le forze migliori del teatro alsaziano. Assolutamente adeguati all’impegno “wagneriano” richiesto ai due protagonisti, Saioa Hernández e Marcelo Puente, entrambi convincenti nel canto di forza come in quelli più lirico. Marco Vratogna è il trucibaldo marito disegnato con virulento vigore e ottimo controllo del mezzo vocale. Il resto del cast, fatto per lo più di piccoli ruoli, è nel complesso funzionale ma non brilla per particolari virtù, con l’eccezione di Idunnu Münch che disegna la schiava Smaragdi con tratti di vibrante umanità. Di notevole spessore anche la prova del Coro dell’Opéra national du Rhin guidato da Sandrine Abello. Particolarmente attento a restituire all’ascolto le molte raffinatezze strumentali della partitura di Zandonai è il direttore Giuliano Carella, che chiede e ottiene il meglio dall’Orchestre Philharmonique de Strasbourg in magnifica forma.

Molto riuscito anche l’allestimento firmato dalla giovane regista Nicola Raab, che dà alla figura di Francesca un rilievo del tutto particolare: fin dalla prima scena con la donna già presente in proscenio, rivive come in un flashback quel fatale incontro con l’uomo con cui decide di condividere anche la fine in maniera del tutto consapevole. Scena funzionale di Ashley Martin-Davis (autore anche dei costumi dalle austere linee rinascimentali così come delle sinistre protesi dei Malatesta) fatta di due cilindri concentrici aperti che, ruotando, descrivono e circoscrivono efficacemente, con l’ausilio dell’accorto disegno luci di James Farncombe, i diversi ambienti con dinamica efficacia e soprattutto senza soluzione di continuità. Molto attenta alle ragioni della musica, la regista dà un rilievo del tutto particolare ai raffinati intermezzi cameristici portando direttamente in scena gli strumentisti in frac.

Risposta calorosa del folto pubblico presente, che fa ben sperare per un definitivo recupero.

 

 

 

 

 

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