Firenze festeggia Sciarrino

Gamo e Amici della Musica per i 70 anni del compositore

Recensione
classica
Non lo coccolate abbastanza, ci dicono in Germania a proposito di Salvatore Sciarrino, compositore molto più presente nelle stagioni e nei teatri tedeschi e in genere europei di quanto non lo sia in Italia. A ricordarcelo, lunedì nel Saloncino della Pergola di Firenze, è stato Francesco Antonioni, compositore e conduttore di Radio Tre, nell'introdurre il concerto che il G.A.M.O., Gruppo Aperto Musica Oggi, storica associazione della musica contemporanea fiorentina (attualmente presieduta da Michele Lai con la direzione artistica di Giancarlo Cardini e Francesco Gesualdi), ha dedicato al compositore siciliano per i suoi settant'anni, e che è stato coprodotto e ospitato dagli Amici della Musica di Firenze. E in realtà molti degli ultimi lavori, compresa l'importante Porta della Legge da Kafka, non hanno avuto la loro prima in Italia, e sembrano lontani i tempi in cui la sorprendente originalità compositiva e di ideazione poetica di Sciarrino portava le sue musiche alla Fenice, alla Piccola Scala e in molte altre sale italiane con una certa frequenza, il che rappresentava una presa d'atto della novità assoluta che Sciarrino ha rappresentato negli anni Settanta e Ottanta rispetto ad un'avanguardia irrigidita in accademia. Una novità per cui Sciarrino si è servito, come sottolineava Antonioni, degli strumenti antichi usati in modo nuovo, non degli strumenti nuovi dell'elettroacustica. Le ragioni possono essere diverse, ma certo la sua è una scrittura che richiede, per sprigionare in pieno i prorpi valori e le proprie sorprese, realizzazioni di altissima qualità, che rendano con perspicuità la sua delicata e precisa indagine sul suono, e sull'universo poetico e di riferimenti che nell'invenzione di questo compositore ne organizza i delicati reticoli.

Su questo aspetto lunedì eravamo veramente a posto con le eccellenti, inventive e insieme molto sorvegliate esecuzioni di Filippo Burchietti violoncello, Laura Catrani voce, Marco Facchini violino, Matteo Fossi pianoforte e celesta, Sara Minelli flauto, Marco Ortolani clarinetto. Ma ci vogliono anche ascoltatori disposti a lasciarsi prendere in un gioco che certo non è dei più facili, per cui Francesco Antonioni ci ha fornito affascinanti chiavi di ascolto per orientarci nel giardino sciarriniano. L'anamorfosi, categoria dell'arte manierista per cui le immagini si ricompongono da angolature oblique e bizzarre; la differenza fra la naturale “meraviglia” e certi più inquietanti e perturbanti incantesimi; la conquista del silenzio che il Novecento musicale ha fatto, ma quello di Sciarrino non è il silenzio di Cage che svuota la musica per aprirsi ad altre esperienze del suono e del rumore, è il silenzio di Webern, che isola ogni suono nella sua verità come in una teca di cristallo. Il percorso partiva da “Melencolia I” per violoncello e pianoforte, estrapolazione dal nucleo iniziale di “Vanitas”, celebrazione dell'effimero che ebbe in forma scenica la sua prima alla Piccola Scala nel 1981 (Daisy Lumini mezzosoprano, Arturo Bonucci violoncello, Gabriella Barsotti pianoforte, regìa e costumi di Pier'Alli), e proseguiva con “Perduto in una città d'acque per pianoforte” (1990-1991), con i suoi riferimenti alle acque di Ravel e Liszt rese irriconoscibili in un'immersione nel grave, poi con lo stupefacente “Omaggio a Burri” (1995) per violino, flauto e clarinetto basso con il misterioso rullare a vuoto delle tastature dei fiati, poi con “Ai limiti della notte” per violoncello, trascrizione dell'autore dall'originale per viola (1979), e, a conclusione di questa prima sezione, il pezzo flautistico che in questi trent'anni è diventato uno dei paradigmi di un virtuosismo di nuovo conio, “Come vengono prodotti gli incantesimi ?” (1985), al cui riguardo Antonioni aveva giustamente richiamato l'importanza della collaborazione fra Sciarrino e il flautista Roberto Fabbriciani, compagno di strada anche di Nono, Maderna, Bussotti. Senza esecuzioni così precise e diremmo così “classiche”, tutto questo rischierebbe di impantanarsi in un'anche troppo percorsa indagine sul suono-rumore, mentre è proprio l'alta e accurata definizione dell'immagine musicale la condizione per lasciare spazio all'ascolto come intuizione e ricreazione, e cioè quell'ascolto che la musica di Sciarrino sembra richiedere. Il programma si chiudeva in chiave di divertissement con le rielaborazioni sciarriniane (della parte pianistica, lasciando intatta la linea vocale) di alcune celebri canzoni del Novecento. Successo cordialissimo.

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