Firenze festeggia Sciarrino
Gamo e Amici della Musica per i 70 anni del compositore
Su questo aspetto lunedì eravamo veramente a posto con le eccellenti, inventive e insieme molto sorvegliate esecuzioni di Filippo Burchietti violoncello, Laura Catrani voce, Marco Facchini violino, Matteo Fossi pianoforte e celesta, Sara Minelli flauto, Marco Ortolani clarinetto. Ma ci vogliono anche ascoltatori disposti a lasciarsi prendere in un gioco che certo non è dei più facili, per cui Francesco Antonioni ci ha fornito affascinanti chiavi di ascolto per orientarci nel giardino sciarriniano. L'anamorfosi, categoria dell'arte manierista per cui le immagini si ricompongono da angolature oblique e bizzarre; la differenza fra la naturale “meraviglia” e certi più inquietanti e perturbanti incantesimi; la conquista del silenzio che il Novecento musicale ha fatto, ma quello di Sciarrino non è il silenzio di Cage che svuota la musica per aprirsi ad altre esperienze del suono e del rumore, è il silenzio di Webern, che isola ogni suono nella sua verità come in una teca di cristallo. Il percorso partiva da “Melencolia I” per violoncello e pianoforte, estrapolazione dal nucleo iniziale di “Vanitas”, celebrazione dell'effimero che ebbe in forma scenica la sua prima alla Piccola Scala nel 1981 (Daisy Lumini mezzosoprano, Arturo Bonucci violoncello, Gabriella Barsotti pianoforte, regìa e costumi di Pier'Alli), e proseguiva con “Perduto in una città d'acque per pianoforte” (1990-1991), con i suoi riferimenti alle acque di Ravel e Liszt rese irriconoscibili in un'immersione nel grave, poi con lo stupefacente “Omaggio a Burri” (1995) per violino, flauto e clarinetto basso con il misterioso rullare a vuoto delle tastature dei fiati, poi con “Ai limiti della notte” per violoncello, trascrizione dell'autore dall'originale per viola (1979), e, a conclusione di questa prima sezione, il pezzo flautistico che in questi trent'anni è diventato uno dei paradigmi di un virtuosismo di nuovo conio, “Come vengono prodotti gli incantesimi ?” (1985), al cui riguardo Antonioni aveva giustamente richiamato l'importanza della collaborazione fra Sciarrino e il flautista Roberto Fabbriciani, compagno di strada anche di Nono, Maderna, Bussotti. Senza esecuzioni così precise e diremmo così “classiche”, tutto questo rischierebbe di impantanarsi in un'anche troppo percorsa indagine sul suono-rumore, mentre è proprio l'alta e accurata definizione dell'immagine musicale la condizione per lasciare spazio all'ascolto come intuizione e ricreazione, e cioè quell'ascolto che la musica di Sciarrino sembra richiedere. Il programma si chiudeva in chiave di divertissement con le rielaborazioni sciarriniane (della parte pianistica, lasciando intatta la linea vocale) di alcune celebri canzoni del Novecento. Successo cordialissimo.
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