Finalmente l’Italiana di Rossini a Fano
Dopo due anni di attesa L’Italiana in Algeri debutta a Fano per la Rete Lirica delle Marche
Ha debuttato a Fano, nella bella cornice del Teatro della Fortuna, erede di quello seicentesco disegnato da Giacomo Torelli, L’Italiana in Algeri di Gioachino Rossini, nuova produzione della Fondazione Rete Lirica delle Marche, nata nel 2018 a sostegno dei teatri di lirica ordinaria della regione. L’opera, che circuiterà nelle prossime settimane nei teatri di Fermo e Ascoli Piceno, assume un significato simbolico per la Fondazione, perché il suo debutto programmato due anni fa non avvenne, in quanto coincise con il primo giorno di lockdown. La ripresa della produzione del 2020 sottolinea quindi la volontà di non fermarsi, mantenendo gli impegni presi dalla Fondazione con artisti e maestranze e portando in scena un allestimento impegnativo.
Impegnativo infatti lo è stato soprattutto nella regia, a cura di Cecilia Ligorio, che ha voluto l’ambientazione dell’opera nel Cabaret “Algeri”, presentando una Isabella-mistress in grado di soggiogare completamente il voglioso Mustafà. Caschetto alla Valentina, abbigliata da Catwoman e armata di frusta, solo alla fine dell’opera Isabella ha indossato i pantaloni rivelando la propria natura androgina e richiamando, secondo le parole della regista, le grandi dive del cabaret, come Marlene Dietrich. Messinscena senz’altro divertente (e difatti non mancavano le aperte risate del pubblico) grazie alle scene di Gregorio Zurla e soprattutto grazie alla gestualità enfatizzata dei due personaggi oggetto dei peggiori imbrogli, Mustafà e Taddeo, e ai loro improbabili chiassosi costumi, disegnati da Vera Pierantoni Giua: Mustafà prima in vestaglia con i lustrini, poi in canotta, poi in costume da domatore, e infine in tutù come pappataci; e Taddeo-Kamaikan in tutina aderente in lycra.
L’idea della regista è stata, si diceva, quella di ambientare la vicenda all’interno di un cabaret, che coincideva con il teatro stesso, e di inventare la figura dell’impresario, interpretato dall’attore Simone Tangolo, che ha accolto il pubblico (quello reale) invitandolo ad abbandonarsi al piacere dello spettacolo, di cui star indiscussa era il celebre Mustafà “flagel delle donne”. Il quale, stanco della moglie, sarà accontentato nella sua voglia di una donna italiana dal factotum del teatro Haly, che pesca Isabella proprio tra il pubblico di belle italiane del teatro: realtà nella finzione dunque, o teatro nel teatro, realizzati attraverso una regia che puntava molto sulle capacità attoriali degli interpreti. In effetti il cast, tutto proveniente dall’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda” di Pesaro, ha retto molto bene lo spettacolo dal punto di vista della recitazione, mentre ha evidenziato qualche insicurezza sul piano vocale: così Francesca Di Sauro in Isabella, ineccepibile nell’intonazione ma mancante di volume, soprattutto nella zona grave; Lara Lagni in Elvira, non sempre controllata nell’emissione; e Mariangela Marini in Zulma. Meglio il versante maschile, nel quale ha spiccato la corposa voce baritonale di Ramiro Maturana in Taddeo. Non male neppure Nicolò Donini in Mustafà, anche lui però mancante di volume; Shanul Sharma in Lindoro, tenore di grazia dal bel timbro che però nel registro acuto si stemperava, e Pablo Galvez in Haly. Anche l’Orchestra Sinfonica “G. Rossini”, con Ferdinando Sulla sul podio, non ha dato il meglio di sé, specie in qualche assolo dei fiati; bene il Coro del Teatro della Fortuna, diretto da Mirca Rosciani. Ferdinando Sulla comunque, dopo una ouverture dove ha appiattito un po’ lo smagliante colore rossiniano, ha diretto con precisione la partitura, specie nei concertati, veloci al limite dell’eseguibile, realizzati con perfetta sincronia ritmica tra voci e strumenti.
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