Evelyn Glennie, ascoltare con il corpo
La percussionista scozzese, sorda dall'età di 12 anni, ospite di MITO Settembre Musica a Milano
Anche un concerto – sia pure con un’interprete d’eccezione come Evelyn Glennie – in un teatro di Milano non particolarmente centrale, come il funzionalissimo Teatro Fontana (nel quartiere Isola, a pochi passi da Viale Zara) può diventare occasione per constatare l’alto grado di attenzione musicale da parte del pubblico del Festival MITO.
Per la percussionista scozzese il teatro è risultato pressoché esaurito, con un pubblico abbastanza vario per età, forse anche per interessi culturali, ma perfettamente all’unisono nel lasciarsi coinvolgere nell’esperimento che la serata implicitamente proponeva: provare a percepire la musica non solo con l’udito bensì anche attraverso il corpo, esattamente come fa la Glennie da quando ha perso completamente l’udito all’età di dodici anni. E che le vibrazioni spirituali dell’arte di Euterpe potessero arrivare all’ascoltatore anche attraverso tutta la loro fisicità corporea, lo si è capito immediatamente, a iniziare dallo splendido Concerto di Vivaldi con cui si è aperto il programma. Artista trascinante, Evelyn Glennie faceva volare le sue bacchette in modo fantastico, passando da intensità estremamente delicate a vere e proprie scariche di note, rapidissime e incisive, in cui la sua esecuzione si è trasformata in energia pura, partecipazione viva all’arte. Da sola, ha tenuto la scena senza il minimo problema nell’ampio Piece for dance di James Keane, brano che privo delle coreografie per il quale è stato scritto forse risultava un po’ troppo lungo ma al tempo stesso dava alla percussionista l’occasione per evidenziare le straordinarie doti virtuosistiche.
La Glennie è un esempio di come la forza di volontà, unita all’intelligenza, possa sfidare la sorte avversa; un’artista da ringraziare innanzitutto per la tenacia con cui si è dedicata e si continua a dedicare alla musica per mezzo delle percussioni. Nei brani proposti nella seconda parte del concerto ecco poi non solo un caleidoscopio di effetti sonori ancor più ampio, ma anche la sottile ricerca di nuove interazioni tra le percussioni e il pianoforte. Grazie all’ottimo Philip Smith, partner ideale per un’artista come la Glennie, hanno impressionato sia la forza creativa della compositrice come Keiko Abe, pure lei percussionista, della quale è stata eseguita la Prism Rapsody, sia il dialogo complesso ma estremamente vario nel quale il compositore tedesco di origine serba Nebojša Jovan Živković riesce a coinvolgere i due esecutori, in quell’originale lavoro che è il suo Quasi una fantasia.
Poco meno di due ore di musica, di un’esperienza sensoriale totale – come direbbe la Glennie – che il pubblico ha ricompensato con generosi applausi finali.
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