Due suicidi, oltre la morte
Cesare Pavese e Sylvia Plath, un dialogo immaginario. Convincente prima assoluta al festival Gamo di Fuga dal Tragico in coproduzione con il Teatro Arsenale di Milano
C’è a Firenze, all’orlo estremo del centro storico, un luogo molto adatto per operazioni musicali e teatrali all’insegna della contemporaneità, la Sala Ketty La Rocca del M A D, Murate Art District, nel restaurato complesso delle Murate, il vecchio carcere fiorentino. E’ qui che il Gamo (Gruppo Aperto Musica Oggi) ha proposto in prima assoluta il 1° dicembre Fuga dal Tragico, intreccio tra i diari della poetessa americana Sylvia Plath e di Cesare Pavese, da un’idea e da una selezione di testi di Paolo Carradori, nell’accurata strutturazione drammaturgica e registica di Marina Spreafico del Teatro Arsenale di Milano, con gli attori Lorena Nocera e Giovanni Di Piano, qualcosa di più che voci recitanti per come le parole dei due scrittori si intrecciavano, si sovrapponevano e quasi si scambiavano i ruoli, in un congegno verbale serrato ed esatto, scandito al ritmo giusto, senza punte di patetismo e drammaticità come si potrebbe supporre dato l’argomento, anzi, usando la parola come uno strumento di precisione, un delicato sismografo rivelatore di ciò che in profondità ne accomuna la vita e gli esiti umani e artistici: un tormentatissimo rapporto con la vita e con l’amore, ma anche un’ansia di perfezione letteraria continuamente alimentata dal gioco e dalla sfida con la parola, una tenzone i cui risvolti luminosi sono quelli che li hanno portati oltre la morte, come da titolo, perché li hanno consegnati alla memoria dei lettori.
Il percorso testuale era contrappuntato in un modo non meno ben calibrato dalle inserzioni musicali di un quartetto di vaglia formato da Giancarlo Schiaffini, trombone, Walter Prati, violoncello elettrico, Francesca Gemmo, pianoforte, Sergio Armaroli, vibrafono, oggetti, elettronica, in un percorso più allusivo che mimetico, di indubbia fragranza improvvisativa ma, ci è sembrato, saldamente ancorato a linee armoniche e ritmiche insieme forti e discrete, quasi evocanti un carattere notturno, evocante qualcosa come gli echi un di free jazz colto ma anche di misteriosi rintocchi come in un paesaggio di Pavese in una notte di nebbia. Ottimo successo.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Al Teatro Filarmonico debutta l’opera verdiana in un allestimento del Teatro Regio di Parma