Dal nord di Stenson alle Americhe della Zavalloni
Chiusura con successo per Parma Jazz Frontiere
Recensione
jazz
Le ultime due serate del Festival Parma Jazz Frontiere sono state segnate da dimensioni musicali decisamente differenti.
Sabato abbiamo seguito il progetto di Bobo Stenson, affiancato da Anders Jormin, contrabbassista storico del trio del pianista, e da Jon Fält alla batteria. Un elemento di disomogeneità emerso brano dopo brano era proprio la commistione tra il pianismo denso di Stenson, segnato da un’espressiva compattezza armonica sulla quale si innestavano frasi melodiche di un lirismo misurato tipicamente nordico, e la vivacità di Fält, efficace quando si inseriva nel dinamico solco ritmico supportato dal solido contrabbasso di Jormin, ma sopra le righe quando si avventurava in vaghe peregrinazioni rumoristiche estemporanee. Una libertà del batterista che a tratti riusciva comunque ad assecondare lo spirito condiviso dai due colleghi più maturi, come nel caso del brano “Don's Kora Song”, un omaggio a Don Cherry fondato su un trascinante ostinato passato dal contrabbasso al pianoforte.
Di segno più intimo la serata di ieri, con protagonista Cristina Zavalloni, accompagnata dal pianoforte di Andrea Rebaudengo in un concerto titolato “Le Americhe da vicino e da lontano”, un pellegrinaggio ideale in un immaginario variegato, partito dalla personalità di John Cage, per passare a Xavier Montsalvatge, compositore catalano autore di “Cinco canciones negras” variamente ispirate alla tradizione sudamericana e alla musica caraibica delle Antille. Passando per la morbida fascinazione della musica di Egberto Gismonti, la Zavalloni è riuscita a coinvolgere il pubblico in un ascolto complice e attento, culminato nelle venature kitsch di “Ticket to Ride” dei Beatles riletta dal duo “colto” Andriessen-Berberian, e nella celeberrima spensieratezza di “Que sera, sera”.
Interpreti: Bobo Stenson Trio Cristina Zavalloni e Andrea Rebaudengo
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