Club to Club, il day after Aphex Twin
Il diario da Club to Club 2018: novità da tenere d'occhio e un Aphex Twin che entrerà negli annali
Prima di questa edizione di Club to Club avevo scritto una guida ai concerti del festival, puntando sui nomi meno noti: con una punta di orgoglio oggi posso affermare di averci visto giusto, con un paio di eccezioni: quella di Skee Mask, di cui ho visto soltanto i quindici finali che però non mi sono piaciuti, e un’altra di cui parlerò più sotto.
Giovedì.
Ma andiamo con ordine: giovedì Club to Club inaugura alle OGR e gran concerto di Tirzah, giustamente incentrato sui brani di Devotion, il suo album d’esordio. Malgrado un’amplificazione imperfetta, migliorata soltanto nella seconda parte dell’esibizione, l’artista londinese ha dato vita a un concerto all’insegna di una delicatezza di altri tempi, in netto contrasto con la barbarie quotidiana con cui siamo costretti a confrontarci. Atmosfere rarefatte, minimaliste, mai un eccesso, e poi una signora voce che ci ha cullato per quarantacinque minuti. Inizio col botto, sarà un gran festival, me lo sento.
Venerdì.
Venerdì, ci si sposta nelle due sale al Lingotto. Gli headliner sono i Beach House, di cui apprezzo la prima mezz’ora, poi sopraggiunge un po’ di noia e allora mi sposto a sentire David August, con Skee Mask il secondo consiglio sbagliato: il suo set mi è sembrato privo di direzione e di sostanza.
Si torna al Main Stage per Jamie XX: il suo compito era quello di far ballare e lui l’ha svolto, ma in altre occasioni l’ho trovato più divertente, più libero di rischiare, attingendo dalla sua notevole cultura musicale. Queste critiche non mi hanno impedito di ballare ininterrottamente per due ore e quindi gli do un 7 pieno.
Di corsa nell’altra sala per quello che per me sarà il miglior concerto della serata: from Kingston, Jamaica, Equiknoxx (ne avevo parlato qui) questa volta, rispetto al set estivo al Viva Festival a Locorotondo, con la vocalist Shanique Marie. Dancehall metallica ma caldissima e dopo anni decido di conquistare la prima fila per godere appieno di questa Jamaican jamboree: un’ora bollente di bassi da terremoto, patois, skankin’, urla del pubblico, sorrisi e buonumore. Murderah!
Sabato.
Poche ore di sonno, seguite da rimbambimento pomeridiano, ed è di nuovo ora di Club to Club. Alle 21.30 attacca Yves Tumor. Questo personaggio (di cui abbiamo parlato qui) dà vita a un concerto molto intenso, caratterizzato da alti e bassi, ma quando arrivano i momenti alti, sono alti davvero. A tratti viene alla mente l’atteggiamento di Prince agli inizi della carriera ma in questo caso le basi sono violentissime e Tumor non sta fermo un attimo, fasciato da leggins dorati che non lasciano nulla all’immaginazione. Nessuna timidezza, tiene il palco con sicurezza, per nulla frenato dal difficile compito di dover aprire la serata: un artista destinato a crescere ulteriormente.
Leon Vynehall ha dato alle stampe quest’anno Nothing Is Still e ovviamente questo lavoro è stato il pilastro intorno al quale il produttore inglese ha costruito un concerto di grande bellezza. Accompagnato da tre musicisti, Vynehall ci ha accompagnato in un viaggio onirico fatto di sfumature jazz, citazioni di Penguin Cafe Orchestra e suggestioni elettroniche: un’ora di riposo fisico ma di continua stimolazione intellettuale.
Subito dopo è la volta di serpentwithfeet (ne abbiamo parlato QUI) che regala ai presenti una delle più intense e a tratti toccanti esibizioni del festival: il suo gospel laico, la sua presenza scenica discreta, i suoi sguardi ironici e ammiccanti, l’incedere sornione, i suoi modi educati (sì, educati), la sua voce eccezionale, conquistano tutti e sono il miglior viatico per ciò che ci sta aspettando sul Main Stage.
“Richard, sono venuto al tuo concerto con qualche pregiudizio e aspettative limitate ma non lo farò più, te lo giuro, anzi mi spoglierò dei miei beni terreni (peraltro scarsi) e andrò tra le genti a predicare il tuo verbo”.
Eh sì, all’una e trenta Dio decide di manifestarsi alle migliaia di suoi fedeli sotto le sembianze di Aphex Twin. “Richard, sono venuto al tuo concerto con qualche pregiudizio e aspettative limitate ma non lo farò più, te lo giuro, anzi mi spoglierò dei miei beni terreni (peraltro scarsi) e andrò tra le genti a predicare il tuo verbo”.
Dopo questo doveroso mea culpa, posso tranquillamente affermare che il concerto di ieri sera rimarrà negli annali di Club to Club, la bomba sulla torta del diciottesimo compleanno. Violenza sonora continua, cambiamenti improvvisi, campionamenti molesti, momenti oltre i 170 bpm (secondo me quelli delle prime dieci file hanno perso i denti), un vero e proprio trip con dissociazione tra corpo e mente. Questa non è musica semplice da ballare, si resta impietriti, a bocca aperta, “cosa cazzo sta facendo?!”, l’interazione tra suoni e immagini è da manuale: sugli schermi compaiono i volti degli spettatori delle prime file, subito dopo deformati in puro stile Aphex Twin dal fido Weirdcore, i laser frustano i presenti e poi il colpo di genio, i volti di personaggi torinesi e italiani, anche questi destrutturati, a volte irriconoscibili. Si parte con il Grande Torino (lacrimuccia…) e si prosegue con Zoff (rispetto), Calvino, Natalia Ginzburg, Rita Levi Montalcini, Calimero (!), Gramsci (ovazione), Enrico Berlinguer (ovazione), Pasolini (ovazione al quadrato), Cavour (sorrisi), Mattarella (ovazione), Andrea Agnelli (bordata di fischi, eh eh), Lapo Elkann (risate) e Cicciolina (apoteosi), tutto questo con l’implacabile martello di Thor che portava a compimento la demolizione del Lingotto. Uno spettacolo memorabile, uno di quelli da raccontare ai nipotini davanti al caminetto.
Al termine una sola possibilità, andarsene a casa: come quando fai una verticale di vini e non devi mai abbassare la gradazione, anche in questo caso, non potendo salire di livello, ho preferito smettere, malgrado l’arrivo di Kode9, non proprio uno qualsiasi. Fuori dal Lingotto è buio ma una luce mi accompagna all’auto: è quella di Richard Davis James, colui che il mondo conosce come Aphex Twin.
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