Cleopatra e il suo doppio
All’Opera di Colonia debutta con successo il nuovo allestimento di “Giulio Cesare in Egitto” di Händel con la regia di Vincent Boussard e i costumi di Christian Lacroix
È un autentico dramma sul conflitto fra amore e potere il Giulio Cesare in Egitto di Georg Friedrich Händel e, fra tutti, è il personaggio di Cleopatra quello che meglio rappresenta quel conflitto e le sue molte declinazioni di affetti. Cleopatra è Lidia quando deve farsi strumento di seduzione dei nuovi potenti e Bellona quando usa ogni arma per conquistare il potere. La sua doppia natura diventa il vero motore dell’azione: sorella maggiore di Tolomeo, re d’Egitto, non esita a usare la leva della seduzione con il nemico Cesare, pur di averlo alleato nel suo tentativo di ascendere al trono. L’idea diventa un’immagine di una certa forza anche visiva nella realizzazione scenica dell’opera di Händel firmata da Vincent Boussard per l’Oper Köln negli spazi non teatrali della Staatenhaus, essendo il teatro di Offenbachplatz ancora inagibile dal 2012. C’è una Cleopatra in grisaglia a doppiopetto di foggia maschile e c’è quella avvolta in una preziosa tunica con sbuffi di leggero tulle ma, in questa doppiezza, la sua essenza è inafferrabile. Tutti di un pezzo invece gli altri, ben descritti dai preziosi costumi atemporali ma con allusioni a epoche e stili differenti di Christian Lacroix, sempre più dentro il suo mestiere di stilista prestato al teatro: il Cesare in posa “monumentale” e avvolto da un cappottone cammello drappeggiato e una pettorina e un morbido pettorale che evoca i colori di Roma, l’estroso e dissoluto Tolomeo che esibisce una sfacciata nudità e il grande pene quando non è avvolto in vestaglie dal tocco esotico, l’addolorata Cornelia stretta in un austero nero vedovile e l’inconcludente figlio Sesto vestito di un tessuto argentato come la corazza del guerriero che in fondo non è.
Se curatissima è la foggia dei costumi, altrettanto lo è la scena di Frank Philipp Schlössman, che moltiplica le affascinanti immagini digitali in movimento curate da Nicolas Hurtevent di palmizi, eclissi solari e superfici liquide nei riflessi del pavimento a specchio e ridefinisce di continuo lo spazio orizzontale del largo boccascena con un gioco di pannelli scorrevoli, che fanno magicamente apparire e scomparire i personaggi sul palcoscenico. È scorrevole anche il passo imposto dal regista allo spettacolo, rallentato solo da qualche parentesi estetizzante un po’ estranea alla natura della rappresentazione (si vedano, soprattutto, le due filigrane settecentesche in controluce che incorniciano l’opera).
Quanto alla compagnia di canto, se soprattutto conferme vengono dai barocchisti specialisti Raffaele Pe, un Giulio Cesare saturnino più che eroico che si esprime attraverso una morbida linea vocale, e Sonia Prina, istrionico Tolomeo fortemente sbalzato anche nella proteiforme vocalità, le vere sorprese le riservano Anna Lucia Richter, un Sesto delicato ma accattivante sul piano vocale, Adriana Bastidas-Gamboa, una Cornelia ricca di pathos, ma soprattutto Kathrin Zukowski, una Cleopatra che cresce sulla distanza e restituisce l’ampiezza dello spettro espressivo che è il riflesso della natura complessa. Nei ruoli minori, Matthias Hoffmann come Achilla difetta di qualche sfumatura, mentre Regina Richter come Nireno e Sung Jun Cho come Curio servono bene i rispettivi personaggi. Il suono orchestrale è quello tradizionale della Gürzenich-Orchester compreso nella sezione dei fiati. Il direttore Rubén Dubrovsky impone, comunque, qualche regola delle moderne pratiche barocchiste (organico leggero, niente vibrato negli archi, basso continuo “all’antica” con il cembalo di Fernando Aguado e le tiorbe di Simon Linné e Sören Leupold) ma nel complesso punta più sulla ricchezza dei colori che su una dinamica incalzante.
Pubblico numeroso alla prima. Molti applausi.
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