CHAMOISic X, tuareg in quota

Si è chiusa la decima edizione del festival valdostano, tra nuova musica e suoni dal mondo

Melos Filarmonica a CHAMOISic X
Melos Filarmonica a CHAMOISic X
Recensione
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Chamois (AO)
CHAMOISic X
19 Luglio 2019 - 21 Luglio 2019

CHAMOISic, giunto quest’anno alla sua decima edizione, non è un festival come gli altri, perché non mira al semplice intrattenimento, al conseguimento dell’evento spettacolo, allo stabilizzarsi periodico di un appuntamento culturale, che cristallizzandosi rischia di perdere molta della sua vitale ed imprevedibile spontaneità, ma è una rassegna che ogni anno cerca di rinnovarsi, suscitare curiosità, stimolare all’ascolto e alla scoperta, abituare il pubblico a diverse forme d’arte ed espressione musicale.

Il video racconto di CHAMOISic IX

A Chamois, incantevole comune d’alta montagna della Valtournenche (Valle d’Aosta), raggiungibile solo in funivia, grazie alla direzione “obliqua” del direttore artistico e trombettista torinese Giorgio Li Calzi, responsabile anche della programmazione del Torino Jazz Festival, e agli sforzi compiuti dal Comune e dall’Associazione Insieme a Chamois, dal cui sensibile operare, ormai dieci anni fa, ogni cosa ha avuto inizio, tutte le musiche del mondo hanno cittadinanza, modo di dialogare, confrontarsi, alternarsi, giustapporsi, scambiarsi esperienze ed informazioni, a patto che di volta in volta i diversi protagonisti e animatori di questa speciale avventura musicale in alta quota condividano il medesimo aperto, inclusivo e sperimentale approccio, che dal jazz e dalla sua complessa genesi, oltre che dal suo articolato e vorticoso sviluppo, direttamente discende.

Il festival ha avuto il suo culmine nella tre giorni finale (Chamois, 19-21 luglio), ma l'offerta si sta ormai ampliando e ramificando sempre di più, con l’intelligente intento di fare sistema, nel rispetto di una montagna che in questi anni sta cambiando molto ed ancora cambierà al ritmo vertiginoso dei bruschi cambiamenti climatici, e quindi coinvolgendo altri comuni della sempre meno “chiusa” Valle d’Aosta (ormai sette, oltre alla stessa Torino). Dallo scorso 7 luglio, infatti, CHAMOISic ha proposto una serie di suggestive anteprime.

L’offerta musicale è stata come al solito intensa e variegata, dai confini volutamente incerti e sfumati. Ad aprire le danze ci ha pensato l’elettronica stratificata e “cantabile”, dalle eleganti sonorità zawinuliane, la profonda e euristica sensibilità tribale e world, del talentuoso valdostano Romeo Sandri (alias sUB_modU), che con i suoi suoni campionati orchestrati dal vivo, le sue magnetiche voci registrate, le sue tribali e melodiche sequenze ritmiche alle digitali drum machine, ha saputo incantare. 

A chiuderle, invece, è stata la volta della pirotecnica formazione dell’istrionico flautista e sassofonista finlandese Jimi Tenor, che al pubblico di Chamois ha presentato la sua fantasiosa e ironica miscela di saettante jazz funk, micidiale afro beat, e svaporata sardonica new wave.

Nel mezzo, oltre alle infuocate jam serali nei locali del piccolo villaggio (su tutte quella diretta dal flautista Toti Canzoneri), l’incendiaria e però controllata esibizione, in quel magico e sonoro anfiteatro naturale (capace di assorbire e al contempo rilanciare il suono), costituito dal bosco e dall’accogliente prato antistanti l’isolato Rifugio dell’Hermitage, dei torinesi Prank! (Enrico Degani, chitarra elettrica, Federico Marchesano, basso elettrico, Dario Bruna, batteria), abile ed energico terzetto in bilico tra i martellanti Battles, i geometrici King Krimson e il sulfureo storico blues rock di Earl Hooker.

E poi soprattutto l’armoniosa performance della Melos Filarmonica, ampia orchestra d’archi dal suono rotondo, preciso e grintoso, che, sotto l’accorta direzione musicale del direttore e arrangiatore Fabio Gurian, ha magistralmente eseguito, grazie anche alla presenza, tra le sue fila, di valorosi musicisti come il violoncellista torinese Manuel Zigante, un arioso e scenografico (già quasi sinfonico – in senso classico) concerto per due violini, due violoncelli, archi e basso continuo di Antonio Vivaldi, valoroso esempio del genio melodico dell’immortale “prete rosso”, e successivamente riproposto lo svolgersi di un’assorta suite sinfonica in cinque movimenti, la Holberg Suite (composizione ottocentesca, ma ideata in “stile antico”, basata su un corpus di danze popolari del XVIII secolo), del crepuscolare e creativo compositore norvegese Edvard Grieg.

A smuovere ancor più le acque, nell’ambito dello stesso set, è stata poi la breve e intrigante incursione dell’affascinante vocalist contemporanea, “francese” d’adozione, Maria Laura Baccarini (accompagnata dal solido contrabbasso, nell’occasione anche amplificato, di Federico Marchesano), ad anticipare quello che due giorni dopo sarebbe stato il suo coinvolgente spettacolo, ammaliante e sperimentale trasposizione teatrale per voce ed effetti sonori del racconto per bambini di Gianni Rodari Atalanta, incentrato su una straordinaria figura di donna ed eroina della mitologia greca; e l’esecuzione sentita ed impeccabile di un paio di standard jazz ("Every Time We Say Goodbye" e "Someone to Watch Over Me"), a opera di Giorgio Li Calzi (che per una volta ha imbracciato la tromba a campana aperta, ad inseguire un suono che fosse il più lirico e naturale possibile), morbidamente avvolto dalle luminose maglie acustiche dell’orchestra d’archi, a testimonianza del fatto che continuare a riarticolare con intelligenza materiali sonori del passato, scontati solo in apparenza, può essere sempre viatico per nuovi ed imprevedibili sviluppi.

Maria Laura Baccarini - CHAMOISic

Ma momento di vera eccezione dell’intera kermesse è stato senz’altro, nel pomeriggio del secondo giorno, l’entusiasmante ed ipnotico concerto, in esclusiva nazionale, dei maliani Tamikrest (ovverosia “alleanza di uomini liberi”), esponenti in esilio del perseguitato popolo tuareg (dal pregiudiziale arabo “uomini senza Dio”), di lingua e cultura tamashek, interpreti di un rinnovato “desert rock”, spettacolare, nomade e carovaniero connubio, dal flemmatico e ostinato passo shuffle, di blues, vigorosa elettricità rock e modi e temi della loro pulviscolare tradizione (oltre che racconto degli attuali problemi e bisogni), il cui suono si è meravigliosamente confermato come esempio paradigmatico di uno dei fondamentali parametri della popular music: il sound.

Un concerto emozionante, reso ancor più significativo e necessario, dalla puntuale presentazione del critico musicale di Radio 1 John Vignola e soprattutto da uno straordinario appassionato intervento al fulmicotone del noto scrittore, giornalista e inviato de La Stampa Domenico Quirico, che si è prodotto in un sapiente e infervorato excursus sulla drammatica condizione del popolo tuareg e più in generale delle genti dell’Africa del nord, ai tempi di un “post colonialismo”, che è ancora feroce, spietato, più o meno subdolo, colonialismo in piena regola.

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