Carmen e il dionisiaco a Macerata
Allo Sferisterio dirige Donato Renzetti, regia di Daniele Menghini
Una Carmen piena di soprese, quella che ha inaugurato il Macerata Opera Festival. Firmato da Donato Renzetti per la direzione musicale e da Daniele Menghini per la regia, l’ allestimento ha coniugato teatro di parola e teatro lirico accostando al libretto quattro monologhi ad apertura di ognuno degli atti. I testi, scritti da Davide Carnevali, erano recitati da Valentina Picello e offrivano delle riflessioni sui temi dell’opera: l’irrazionalità dell’ amore, l’ineluttibilità della morte, la libertà (e in nome di quest’ultimo aspetto l’attrice ha intonato “Il cuore è uno zingaro” di Nicola di Bari, vero e proprio shock uditivo). Un’operazione di metateatro che sarebbe riuscita meglio se si fosse limitata all’intervento inziale, ma che ripetuta quattro volte è risultata, alla fine, un po’ pedante.
Valentina Picello indossava un costume da Arlecchino, e proprio il tipico disegno a losanghe colorate è risultato poi la cifra simbolica di tutto lo spettacolo. Come aveva spiegato il regista il riferimento non era alla maschera della commedia dell’arte ma all’Alichino dantesco, il diavolo presente nella quinta bolgia e che rappresenta l’ingrediente demoniaco, osceno, istintuale e animalesco di Carmen e di tutta la sua truppa di zingari. Un sorta di elemento dionisiaco che saltava fuori non appena i nodi si scioglievano e i gitani si trovavano liberi nelle loro danze convulse sulle montagne, a suon di fiati e percussioni, con tanto di squartamento del toro la cui carcassa viene riportata in scena smembrata, prima la testa, poi il costato, infine il cuore.
Una lettura del libretto che non ha stravolto l’ambientazione (ci si trovava nella Spagna di fine Ottocento) ma che ha dato spazio ad una inedita angolatura del colore iberico, non quella degli abiti colorati e svolazzanti e delle danze, ma quella del rito cruento della corrida, fatto di sabbia, carne e sangue. Tranne che nel terzo atto tutta la scena era ambientata in una plaza de toros, costruita in modo tale da creare una continuità architettonica con il grande muro dello Sferisterio, indistinguibile; l’ambientazione del terzo atto, sulle montagne, era ottenuta ricoprendo con teli di plastica nera le pareti del ruedo. Ambientazione non definita cronologicamente, quindi, mentre i costumi erano ottocenteschi ma con riferimenti alla modernità (le tute da lavoro delle sigaraie, i loro body e reggiseni in pizzo, gli anfibi) e alle maschere. Proprio l’elemento dell’Arlecchino e delle maschere è risultato alla fine un po’ troppo insistente, così come gli “effetti speciali” disseminati qua e là (improvvise accensioni di fuochi, processioni blasfeme con testa del toro al posto del santo, fuochi d’artificio, un dragone cinese svolazzante - e questa ultima cosa francamente si comprendeva solo con sforzo: forse una parodia dei dragoni nei quali era arruolato Don José?). Tutto un apparato volutamente kitsch che, anche questo, si cerca di interpretare con il gusto dell’esagerazione tipico di certa estetica non appartenente alla tradizione colta, utilizzato in questo allestimento per connotare la cultura gitana. Comunque, nel complesso, molto d’effetto le scene di insieme, grazie ai costumi fantasiosi e coloratissimi e alle armoniche disposizioni delle masse sul palcoscenico, valorizzate dalle luci.
Sul piano musicale si è apprezzata la direzione di Donato Renzetti sul podio della FORM- Orchestra Filarmonica Marchigiana, che si è mantenuta su una interpretazione allineata con la tradizione e si è dimostrata attenta a conservare sempre un equilibrio con le voci. Tra gli interpreti vocali ha primeggiato il versante femminile: Roberta Mantegna in Micaela, la più applaudita; Ketevan Kemoklidze in Carmen, che ha ben interpretato la parte anche nell’imprescindibile aspetto attoriale; Francesca Benitez in Frasquita e Alessandra della Croce in Mercédès, entrambe molto brave. Più debole Ragaa Eldin in Don José, la cui voce, senz’altro espressiva, come si è notato nell’ “aria del fiore”, si è persa un po’ nell’ampiezza del teatro all’aperto. Discreti gli altri interpreti, Fabrizio Beggi in Escamillo, Armando Gabba in Le Dancaïre, Saverio Fiore in Le Remendado, Paolo Ingrasciotta in Moralès, Andrea Concetti in Zuniga. Bene le due compagini corali, I deliziosi Pueri cantores “D. Zamberletti” diretti da Gian Luca Paolucci e il Coro Lirico Marchigiani “V: Bellini” diretto da Martino Faggiani.
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