Cantare e raccontare Rosa Balistreri
Rosadilicata... il canto che libera è lo spettacolo dedicato a Rosa Balistreri, con la cantante Chiara Casarico
Ci sono figure di donne indomite nella storia delle musiche che, tutte assieme, ci rendono migliore la vita e forse ce ne fanno capire meglio qualche spicchio. Colpite, umiliate, capaci sempre di rialzarsi. Pensate a Nina Simone, a Janis Joplin, a Maria Callas. Considerate, in Italia, quel grumo di potenza emotiva mai sottomessa e deflagrata in canto roco e sferzante, germinato dal nulla di una vita deprivata di tutto: pensate a Rosa Balistreri.
Uno di quei casi clamorosi di oltranza della fierezza che rischia la patina opacizzante del mito. Perché Rosa Balistreri è anche un mito, e i miti tendono a scontornarsi dalla realtà acquistando una sorta di asettica indipendenza dalla vita reale di fatica, di polvere, di sudore. Di violenza. Tutte cose sperimentate su ogni centimetro di pelle da Rosa Balistreri da Licata, territorio di Agrigento, Sicilia.
Rosadilicata... il canto che libera è il titolo del potente spettacolo dedicato alla folksinger e cantastorie siciliana da Chiara Casarico, attrice e vocalist, diretto da Emilia Martinelli e messo in scena al Teatro Tiqu di Genova nell'ambito del Festival dell'Eccellenza al Femminile, appuntamento consolidato annuale più che mai significativo, in un paese dove ogni tre giorni è vittima di violenza fatale maschile una donna.
Rosa Balistreri, scomparsa nel 1990, è stata un'eccellenza della creatività declinata al femminile contro tutto e contro tutti: cresciuta in una famiglia miserrima e dura, bambina lavoratrice e sposa forzata a quattordici anni, vittima di stupri odiosi, serva umiliata nelle case dei potenti, finita più volte in carcere per aver osato ribellarsi a un sistema in cui facevano fronte comune maschi maneschi, parroci ambigui e melliflui, nobili sfaticati e padri padroni. Analfabeta per costrizione fino a vent’anni, poi fieramente attaccata a quella conquista, la conquista delle parole che si potevano scrivere, la prima delle quali il suo nome, Rosa. Una sorella ammazzata da un marito violento, un padre suicida.
Come resistere a questo mare d’odio e di violenza? Cantando. Esorcizzando un imposto mal vivere con la forza grezza delle parole ingolate. E poi la fuga a Firenze, a rifarsi una vita, la svolta, l'amicizia con Guttuso, con Ignazio Buttitta che la sente cantare, ne intuisce il fiammeggiante potenziale espressivo e le dà il buon consiglio di imparare ad accompagnarsi con una chitarra, il palco diviso con Dario Fo per Ci ragiono e ci canto.
Difficile mettere in scena tutto questo, interpolando a una narrazione serrata e a ciglio asciutto, a volte perfino venata di un amaro sarcasmo, le splendide canzoni di Rosa, da "Cu ti lu dissi" a "I pirati a Palermo" e "Rosa canta e cunta", senza rischiare il patetismo. Chiara Casarico riesce a farlo: usando un carretto siciliano unico oggetto di scena e trasformandolo in una stanza, in un letto, in una quinta, sfoderando una voce amara e possente, adornata dall'essenziale accompagnamento alla chitarra di Stefania Placidi, e dalla fisarmonica gentile e piena di grazia di Desirée Infascelli.
Rosa Balistreri, giustamente, dove continuare ad essere cantata: come ad esempio hanno fatto negli ultimi tempi, e bene, Etta Scollo e Milagro Acustico. Ma questo spettacolo duro e necessario aggiunge un ulteriore pezzo di voce a chi voce di libertà aveva già dentro, ad abitarla.
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