Byron poeta e corsaro
Biondi dirige Verdi a Valencia
Pur gravata da una messa in scena inadeguata, questa nuova produzione del Corsaro di Verdi al Palau de les Arts di Valencia, grazie a un buon reparto di cantanti e all’attenzione ai dettagli del direttore Fabio Biondi, è comunque riuscita a mettere in luce quelle non poche pagine valide di questo lavoro poco conosciuto, garantendo allo spettacolo un buon successo di pubblico. È curioso che tutti e tre gli atti di quest’opera inizino in modo piuttosto convenzionale e generico, ma poi vadano acquistando fisionomia e calore espressivo: l’aria di Medora del prim’atto, con le sue misteriose premonizioni che ricordano quelle di Giocasta dell’Oedipus Rex di Stravinsky, il crescendo d’emozioni alla fine della scena dell’harem che riscatta tutto il second’atto, o la scena della prigione nel terzo con la sua memorabile introduzione orchestrale. Ma non si può certo dire che questo titolo minore di Verdi sia stato proposto con le attenzioni e l’approccio giusti per permettere di giudicarlo nella sua reale portata, valutandone appieno i pregi e i difetti.
Intanto, la regia firmata da Nicola Raab, la cui trovata è stata di trasformare Corrado il corsaro reietto nientemeno che in Byron, ossia l’autore del poema da cui l’opera trae la sua vicenda e, in certo modo, anch’egli pirata nemico di sultani, per la sua decisione fatale di andare a combattere in Grecia contro i Turchi. Trasformata così in una sorta di Turco in Italia, con un poeta sempre tra i piedi che entra ed esce dalle scene quando vuole, la povera opera di Verdi ha perso qualunque senso intellegibile: si vede spesso il poeta corsaro scartabellare tra le sue carte e disperarsi al tavolino, ma di che si sta lagnando? Forse della fine che i suoi versi hanno fatto nel libretto di Piave? Non è dato saperlo, né in fondo interessa. Solo si farà notare che alla drammaturgia di Verdi, e in special modo del primo Verdi, tutta concreta e giocata sull’alternanza di situazioni sentimentali ben definite, questi giochi intellettualistici di straniamento sono del tutto alieni, e soprattutto che condizione necessaria per allestire un’opera è per lo meno crederci un po’, non vergognarsene in partenza.
In questa sconclusionata atmosfera, resa ancora più dispersiva dalle fastidiose proiezioni video ormai di prammatica, Biondi ha puntato più sui dettagli che sulla stringente concatenazione degli eventi, con alcuni vuoti di tensione drammaturgica, che non ci sentiremo di attribuire solo a Verdi, e certi indugi un po’ troppo languidi; ma così facendo ha valorizzato le note dolenti di questa partitura, che sono quelle più riuscite, a scapito di quelle battagliere. Purtroppo in questa visione è stato seguito solo dalla bravissima Kristina Mkhitaryan, la migliore in scena come Medora, e da Vito Priante dalla voce non grossa, ma elegante e adeguata al personaggio di Seid. Michael Fabiano, Corrado, pur dotato di un timbro pieno e rotondo e di una dizione molto chiara, ha invece optato per un canto senza sfumature, sempre un po’ sul forte, e ancora più in là è andata Oksana Dyka che ha trasformato la sfortunata schiava Gulnara in una specie di furia. Può anche darsi, però, che certi eccessi nelle prestazioni vocali siano stati provocati dalla presenza delle telecamere per la diretta streaming, spingendo forse alcuni a voler strafare.
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