Born in the Usa
Bernstein, Barber e Adams nel concerto di Pappano e Shaham all'Accademia di Santa Cecilia
Recensione
classica
"Born in the U.S.A." è il titolo che Antonio Pappano ha scelto per un concerto dedicato a tre suoi connazionali: anch'egli infatti, sebbene nato in Inghilterra da genitori italiani, è cresciuto e ha studiato in America. E gli è rimasto molto della mentalità americana, per esempio l'approccio pratico, concreto, dinamico, ottimista alla vita, che è lo stesso con cui i tre compositori eseguiti si confrontano con la musica, mostrando viceversa il più totale disinteresse alle questioni puramente teoriche e intellettualistiche di linguaggio e di stile, che da questa parte dell'Oceano sembravano vitali e su cui ci si accaniva, senza preoccuparsi della ricezione da parte del pubblico. Per capire meglio questo punto, le Tre danze Sinfoniche di Leonard Bernstein sono state scritte per il musical On the Town, che dal 1944 al 1946 ebbe 463 repliche nella sola Broadway e nel 1949 divenne un film di successo con Frank Sinatra e Gene Kelly (in Italia intitolato Un giorno a New York). Naturalmente ci sono molti echi del jazz e di Gershwin, ma a differenza di Gershwin, che avrebbe tanto voluto studiare con Ravel, Bernstein conosceva benissimo la musica di Ravel e ancora meglio quella di Stravinsky e sapeva orchestrare magnificamente. Con l'aggiunta della sua musicalità trascinante e del suo geniaccio ne esce un pezzo irresistibile e talmente ben fatto da non urtare nemmeno il senso estetico più schizzinoso. Applausi. Il Concerto per violino di Samuel Barber del 1939 nei suoi primi due movimenti (il terzo è diversissimo, un Presto in moto perpetuo che ricorda Prokof'ev) è un levigatissimo brano neoclassico, senza ombra del distacco ironico stravinskiano, ma con la continua e strenua ricerca di una cantabilità purissima, immateriale, incantata, fuori dal mondo, propiziata dal ricorso alla modalità, che annulla ogni tensione interna. Può creare dei problemi di coscienza a chi è abituato a pensare che la ricerca sul linguaggio sia tutto ma è un pezzo bellissimo, e poi la ricerca sul linguaggio c'è anche qui, solo che va nella direzione opposta a quella delle avanguardie. Molti applausi e bis bachiano del perfetto, elegante, intenso Gil Shaham.
Tutta la seconda parte era per John Adams e la sua grande Harmonielehre (un titolo preso da Schoenberg, che suona ironico) In questa sorta di sinfonia in tre movimenti del 1985, Adams sembra voler dimostrare che il minimalismo può uscire dalla sua immobilità ipnotica e diventare dinamico e drammatico, con potenti conflitti beethoveniani (aggettivo da non prendere alla lettera) e con lancinanti catastrofi acustico-psichiche mahleriane (in questo caso si può prenderlo alla lettera, perché il finale del secondo movimento è mahleriano al 100%). Pezzo di grande effetto, che rischia però di essere appunto un seguito di grandi effetti, perché, per l'assenza di una dialettica interna, queste clymax sonore e drammatiche arrivano inaspettate e anche immotivate. Moltissimi applausi però, anche all'orchestra in forma strepitosa e a Pappano, sempre impagabile per la capacità di far amare anche agli ascoltatori più impigriti partiture a loro sconosciute.
Interpreti: Gil Shaham, violino
Orchestra: Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore: Antonio Pappano
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