Berlioz apre il Carlo Felice
Genova: Béatrice et Bénédict con la direzione di Renzetti
Applausi ieri sera al Carlo Felice per la prima italiana di “Béatrice et Bènédict” di Berlioz che ha inaugurato la stagione genovese, una coproduzione con l’Opera di Lione, dove, causa Covid, lo spettacolo si era arenato alla prova generale.
Lo stesso Berlioz ricavò da “Molto rumore per nulla” un libretto di scarso valore drammaturgico. La scelta formale dell’opéra-comique non lo aiutò a costruire una partitura compatta, che tuttavia contiene diverse pagine interessanti: l’Ouverture, il duetto Hero-Ursule, l’aria di Béatrice e il finale, una sorta di ironica “Marcia al supplizio” al posto della prevedibile marcia nuziale.
Ieri sera sul podio Donato Renzetti ha saputo esaltare i momenti musicali più piacevoli, garantendo una lettura elegante e duttile. Ineccepibile il cast: Nicola Ulivieri (Don Pedro), Yoann Dubruque (Claudio), Julien Behr (Bénédict), Gerard Robert-Tissot (Leonato), Benedetta Torre (Hero), Cecilia Molinari (Bèatrice), Eve-Maud Hubeaux (Ursula), Ivan Thirion (Somarone).
Il regista Damiano Michieletto ha giocato sulla contrapposizione fra l’amore convenzionale di Hero e Claudio e quello passionale e istintuale di Bèatrice e Bénédict. La scena di Paolo Fantin è costituita nel primo atto da una grande scatola bianca affollata da microfoni con i quali Somarone documenta i dialoghi dei personaggi. Nel secondo atto, ci si trova nel paradiso terrestre: una scimmia (il bravo mimo Amedeo Podda) saltella felice, Adamo ed Eva, nudi, si amano di un amore destinato però ad essere ingabbiato; e infatti una grande rete rovescia il paradiso terrestre, imprigiona i due che alla fine, vestiti a forza in abito nuziale, saranno posti in una teca.
Al di là delle ovvie discrepanze con il libretto, la lettura è parsa troppo intellettualistica per un’opera che avrebbe dovuto avere la leggerezza e l’ironia dell’opera-comique di metà Ottocento.
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