Beethoven ultimo atto
Roma: chiusura del ciclo beethoveniano, arricchito dal nuovo lavoro di Fabio Nieder
Recensione
classica
Il ciclo con cui l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha aperto la propria stagione sinfonica 2015-2016, "Beethoven e i contemporanei”, si è concluso nel segno del ritmo e dell’incisività, grazie alle due Sinfonie, la Prima e la Terza, che restavano da presentare in questa integrale. Percepibile soprattutto il grande percorso che in meno di cinque anni ha compiuto il musicista di Bonn: se nella scrittura orchestrale della Prima egli già segnalava le proprie poche ma significative differenze rispetto a quanto la tradizione musicale settecentesca gli aveva consegnato, nell’Eroica il suo processo creativo si arricchiva di nuovo ardore, infuocato com’era dalla figura di Napoleone che però lo avrebbe successivamente deluso per la deriva autoritaria che il suo potere aveva seguito. Qui Pappano ha effettivamente dato il meglio di sé, ricavando dall’Orchestra dell’Accademia tutto lo slancio e l’energia che specie la Terza richiedeva, insieme a una gamma di colori, di sfumature espressive e di intensità che hanno reso emozionante l’ascolto della celebre Marcia funebre, ma anche quella del complesso e grandioso movimento finale. Merita adeguata attenzione anche il brano di Fabio Nieder eseguito in prima assoluta, terzo e ultimo dei lavori che in questo ciclo rappresentavano i contemporanei non di Beethoven ma dell’odierno pubblico. La “Danza lenta di C. S. fra gli specchi” è sembrata proporre innanzitutto un’esperienza diversa del tempo, come attraverso un universo dove di base la densità sonora è più rarefatta e all’ascoltatore vengono incontro misteriosi e affascinanti oggetti musicali, che molto gradualmente si avvicinano, si lasciano percepire e successivamente si allontanano. Gli specchi citati nel titolo non hanno avuto alcun effetto deformante, ma piuttosto sono apparsi come una sorta di aiuto per l’ascoltatore, dandogli modo di ‘osservare’ più da vicino questi oggetti sonori, dalle vette più acute (gli scintillanti ottavini) fino alle più profonde fondamenta (il penetrante controfagotto e la tuba). Con un risultato di affascinante bellezza che il pubblico ha salutato con sinceri applausi.
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