Arianna tra i pianoforti
Alla Scala Strauss con la deludente direzione di Michael Boder
In Italia è l'anno di Arianna a Nasso; dopo l'edizione diretta da Juraj Valcuha a Bologna e in previsione di quella diretta da Daniele Gatti al Maggio Fiorentino, l'opera di Richard Strauss va in scena alla Scala con Michael Boder sul podio e la regia di Sven-Eric Bechtolf, che l'ideò dieci anni fa al Festival di Salisburgo per la prima dimenticata versione del 1912 (quale appendice del Borghese Gentiluomo di Molière) e che l'anno dopo a Vienna riadattò per quella definitiva del 1916 col risolutivo Prologo in musica, suggerito da Hofmannsthal. Quest'ultimo spettacolo è ora ripreso al Piermarini da Karin Voykowitsch, sempre con le scene di Rolf Glittenberg e gli spiritosi costumi della moglie Marienne Glittembert. L'impatto visivo è più che convincente, specie nel Prologo con la grande vetrata che lascia intravvedere le maschere guastafeste (trasformate in guitti di una compagnia di giro) e immaginare un giardino di gran lusso, che viene poi trasformato in un locale con toilettes e specchiere per il trucco dei cantanti. Per l'Opera in programma l'isola deserta è sostituita da tre pianoforti scassati (forse a indicare come gli stereotipi della lirica abbiano fatto il loro tempo), alle spalle dei gradoni con le poltrone per gli invitati del padrone di casa. Qui si alternano i dolori di Arianna e i siparietti dei comici, che gironzolano anche su monopattini, giocano con ombrelli e si esibiscono in continue trovate che danno un buon ritmo allo spettacolo. Anche il coperchio inclinato di uno dei pianoforti crea effetti divententi, perché quando Arianna e Zerbinetta vi si accostano le rispecchiano dalla cintola in su come fossero delle regine di carte da gioco, ma talvolta serve anche da scivolo.
Prevedibili invece l'apparizione di Bacco in cima alle scale, quanto la gestualità della coppia tragica; scelta voluta, tanto che al termine dell'opera Arianna, ben istruita da Zerbinetta, pianta in asso il tenore stufa delle sue vuote esternazioni. Le era stato annunciato un dio giovanetto e si ritrova davanti un omone attempato, non può far altro. Una trovata registica ben azzeccata, come quella d'aver previsto che il Compositore (presente anche nell'Opera a distribuire spartiti ai cantanti) alla fine si fidanzi con Zerbinetta, giustificando così il loro struggente coup de foudre del Prologo.
Il cast è di ottimo livello, Rachel Frenkel è ormai espertissima nei panni del Compositore e regge da sola tutta la prima parte dello spettacolo, la Zerbinetta di Erin Morley è la vera regina della scena, bastano la sua presenza e le sue acrobazie vocali a ravvivare ogni situazione, Krassimira Stoyanova affronta le arie di Arianna con assoluta precisione. Da citare infine Stephen Gould, un Bacco dignitoso con qualche scarto d'intonazione; i bravi quattro guitti di Samuel Hasselhorn, Jinxu Xiahou, Jongmin Park, Pavel Kolgatin; le tre assistenti mitologiche della protagonista, Caterina Sala, Svetlina Stoyanova, Olga Bezsmertna; Markus Werba come Maestro di musica e lo spassoso Maggiordomo di Gregor Bloéb. Tutto per il meglio, con l'unico inconveniente di una direzione d'orchestra greve, senza mai un guizzo, che tra l'altro non permette di spiccare il volo alle melodie sognanti delle quali è cosparsa la sofisticata partitura, né all'orchestra di sottolineare i momenti cameristici e quelli prettamente "wagneriani", uniformandone i colori.
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