Aminta e Orfeo, postmoderni
Alla Sagra Malatestiana di Rimini l'Orfeo di Domenico Belli incontra l'Aminta di Tasso
Recensione
classica
“S’ei piace ei lice”: il diritto della natura, dell’istinto, al di sopra di tutto, anche se dettato dalle pulsioni più animali, più bestiali. Questa è una delle complesse sfaccettature emerse dallo spettacolo che abbiamo seguito nella Sala Pamphili del Complesso degli Agostianiani a Rimini dove, a quattrocento anni dalla prima rappresentazione, è stato proposto un lavoro che accostava i cinque intermezzi musicali dell’[i]Orfeo dolente[/i] di Domenico Belli (1616) alla favola pastorale [i]Aminta[/i] di Torquato Tasso. Una rappresentazione basata su un’originale alternanza di musica e parole per una nuova produzione caratterizzata dalla regia di Daniele Spanò e Luca Brinchi e dalla drammaturgia di Erika Z. Galli e Martina Ruggeri, targata Sagra Musicale Malatestiana, Spellbound, Teatro di Roma in collaborazione con il Festival Shorttheatre di Roma e Vie Festival promosso da Emilia Romagna Teatro.
Un lavoro di recupero storico e rievocazione espressiva “al quadrato”, giocato da un lato su strati sovrapposti storico-letterari e dall’altro sugli intrecci emotivi ed emozionali scaturiti da una miscela di codici artistici storicamente distanti e linguisticamente eclettici. Una struttura drammaturgica segnata quindi dal contrasto tra i linguaggi – musica barocca, video arte e performance dal vivo – e dalla contrapposizione tra i mezzi espressivi – rumorismi elettronici, macchine di scena e strumenti antichi –, il tutto tratteggiato su uno sfondo rappresentativo dove la parola, ora cantata ora recitata, rimbalza tra i differenti contesti, nutrendo di rimandi “altri” il proprio significato.
In apertura la partitura che Domenico Belli ha ricamato sul testo letterario di Gabriello Chiabrera ha preso forma grazie all’impasto strumentale equilibrato dell’Ensemble Arte Musica diretto al clavicembalo con gusto attento da Francesco Cera, introducendo il pubblico presente in quella dimensione pastorale e mitica nella quale abbiamo potuto incontrare di nuovo Orfeo (Riccardo Pisani), in questa occasione in dialogo, oltre che con altri pastori e grazie, con Plutone (Walter Testolin) e Calliope (Damiana Pinti), intento a indagare il proprio animo dolente per la perdita di Euridice.
Una dimensione espressiva che ha abitato i cinque intermezzi, tra i quali venivano innestate le violente pulsioni di Aminta per Silvia, che qui hanno preso forma rappresentativa grazie a squarci audiovisivi contrapposti a presenze fisico-edoniste (il culturista) e materico-timbriche (suoni distorti e incalzanti). Il tutto per rievocare emotivamente quell’età dell’oro dove era la legge di Natura a governare l’uomo e le sue pulsioni. Una lettura dell’opera del Tasso che, lasciando in sospeso un lieto fine consolatorio, è andata oltre, rafforzando il senso di ineluttabile disperazione alla quale conduce il desiderio. Una visione intensa, che ha contrapposto e messo a confronto i travagli interiori dei due personaggi, Orfeo e Aminta, i quali, nella loro diversità, finiscono per raccontare anche il nostro tempo segnato da derive, smarrimenti e contraddizioni che, parafrasando Lyotard, potremmo definire come una condizione postmoderna delle pulsioni e dei desideri dell’uomo.
Regia: Daniele Spanò e Luca Brinchi
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
classica
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.