Altre voci a Modena

La giapponese Hatis Noit e la catalana Marina Herlop alle frontiere della voce femminile 

Hatis Noit (foto Rolando Paolo Guerzoni)
Hatis Noit (foto Rolando Paolo Guerzoni)
Recensione
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Teatro Pavarotti-Freni, Modena
Hatis Noit – Marina Herlop
16 Maggio 2024

Protagoniste di una serata del Modena Belcanto Festival e dell’edizione 2024 del Festival Altro Suono, intitolata Suoni dal Sud, sono la giapponese Hatis Noit e la catalana Marina Herlop, già vista dai nostri cronisti sul palco del C2C.

Apre la nipponica, iniziando dalla platea; abito bianco e piume d’uccello incastonate sul viso, come una vestale a officiare un rito ancestrale; si parte dalla voce nuda, da un’invocazione in quest’epoca pallida che ha perso ogni senso del sacro.

Il set è spoglio, austero, toccante e minimale e si regge sull’uso esclusivo di voce e looper. Un ruolo importante lo giocano gli ottimi visuals di Akasha, al secolo Riccardo Franco-Loiri, che in un sensuale equilibrio tra astrazione, natura e digitale rispondono e dialogano in modo molto evocativo ai suoni fragili e monumentali che si alzano dal palco. Sentori di musica indiana, memorie delle atmosfere commosse del Greg Haines di “Slumber Tides”;  sullo schermo fauna del fondo, tropici celesti e creature lente e bizzarre, forme di vita acquatiche che respirano in mari dove ogni tanto giunge la luce e dove non arrivano mai il frastuono delle nostre città, l’eco delle nostre preoccupazioni. Spugne, coralli, pesci impossibili, Meredith Monk ("Aura"), Shelley Hirsch ("Jomoni"), un solfeggio in battere ("Himbrimi") sul quale fioriscono deviazioni e variazioni, come un madrigale ambient o un nitido prototipo di pop ultraterreno per sole voci.

Siamo in una stanza dove mille specchi riverberano e riflettono lampi di mille voci provenienti da un cosmo talvolta pallido, talaltre iridescente. «Faccio musica solo con la mia voce; nulla è preregistrato; la prossima canzone, dedicata a Fukushima è un’eccezione. Contiene suoni dell’oceano e dei luoghi vicino alla centrale nucleare, è per tutte le persone che non ci sono più e che vivevano lì vicino».

"Inori" si apre proprio coi suoni dell’oceano, ma si avvertono anche rumori di costruzioni, come la vita che ritenta il suo faticoso cammino dopo un terremoto, uno tsunami. «Ogni soundscape ha una memoria e questo è per Fukushima e la sua gente». Una musica fatta di poco, quasi di niente, sottile come carta di riso su cui sono scritti un pugno di haiku. Poi si alza, come una marea una voce sopranile. Fiori cameristici impollinati da insetti elettronici escono dal corpo minuto della musicista giapponese trapiantata a Londra, mentre sullo schermo meduse, fragili costellazioni neuronali, ammassi di galassie appaiono e scompaiono.

«Vengo da Hokkaido, una zona piena di foreste, con una natura molto rigogliosa. Vivendo da molti anni lontano da lì a volte mi sento persa e fatico a trovare la mia identità, tanto più ora che sono in Europa, un mondo totalmente diverso dal mio Giappone. Quando mi sento perso mi rivolgo ai miei luoghi per ritrovarmi».

Il nome Hatis Noit viene dal folklore del Sol Levante, poiché indica lo stelo del fiore di loto, che rappresenta il mondo vivente, mentre le sue radici sono espressione del regno degli spiriti: ecco allora che Hatis Noit è ciò che mette in contatto le due dimensioni. In "Sir Etok" ritroviamo a terra piume della voce di uccello di Iva Bittová, in altri frangenti strane orme di gighe irlandesi.

Hatis Noit (foto di Rolando Paolo Guerzoni)
Hatis Noit (foto di Rolando Paolo Guerzoni)

Molto più saturo ed estroverso il mondo di Marina Herlop, che si presenta in trio con la voce di Clàudia Ibáñez Balletbó e le percussioni di Antoni Llull Galmés; il set è incentrato sull’ultimo lavoro del 2023, pubblicato da PAN, una delle etichette di riferimento per chi segue le avventure dell’elettronica oggi, “Nekkuja”. 

Tra ruggini prog ("Busa") e l’hyper-pop espanso e 4.0 di Björk, l’artista catalana si muove con lievità e disinvoltura tra mille stimoli differenti; a tratti viene in mente l’articolazione complessa e sghemba del fare canzoni di una Fiona Apple ("Cosset"), catapultata però in un universo caleidoscopico e futuribile. I giochi delle due voci, le percussioni digitali, l’elettronica, la batteria concorrono a tessere trame mai prevedibili ma che a volte hanno forse il difetto di voler privilegiare a tutti i costi la tensione verso il bizzarro perdendo di vista il focus sulla composizione, o perdendo comunque qualcosa in termini di impatto emotivo.

Le tracce però davvero hanno il bonus di non suonare mai didascaliche o telefonate, tra cenni teatrali, solfeggi dispari da musica indiana, esplosioni sottili, fuochi d’artificio, sorprese a bassa voce, dinamiche in movimento, rivelazioni e deviazioni. Scie nei cieli immisurabili della canzone, caratterizzate da soluzioni interessanti e da un ampio ventaglio di timbri, ritmi, idee.

Il vertice del concerto per il vostro cronista sono una ballata per sola voce e tastiera dove emerge in modo nitido il background classico dell’artista e, nel bis, una versione nuda e magnetica di "Veinte Años", un bolero scritto da Maria Teresa Vera e portato al successo planetario dal Buena Vista Social Club.  “Fui la ilusión de tu vida/Un día lejano, ya/Hoy represento al pasado /No me puedo conformar”.

Le due cantanti sono due rappresentanti luminose di chi, in questo sparpagliato presente tra le cui pagine è sempre più complicato mettere segnalibri, cerca di coniugare sacralità della voce e profano della sperimentazione: mistica e solenne Hatis Noit, autodidatta a pescare ispirazione nel Gagaku giapponese come nel canto gregoriano e nella musica bulgara, eclettica e in bilico tra art-pop e songwriting sghembo Marina Herlop.

Una (la musicista orientale) esordiente sulla lunga distanza, per la prima volta in Italia (eccezion fatta per una fugace apparizione a una Milano Fashion Week del 2018), potendo vantare nel curriculum collaborazioni passate con Kevin Richard Martin, in atto con William Basinski e inviti al Manchester International Festival da David Lynch; l’altra con album di tracce per solo pianoforte alle spalle, a suo agio con composizioni vocali dove non ci sono testi ma solo suoni puramente fonetici, seguendo lo stile della musica carnatica del Sud dell’India , animata da una curiosità onnivora: «Non andrò mai in Kazakistan, non suonerò mai la viola da gamba. Perché questi limiti alle nostre esperienze?».

Come ha scritto Pitchfork, forse è questo il segreto del massimalismo della sua musica: lo possiamo sentire bruciare assieme a questa urgenza di abbracciare semplicemente tutto

Marina Herlop (foto Rolando Paolo Guerzoni)
Marina Herlop (foto Rolando Paolo Guerzoni)

 

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