Al Festival della Valle d’Itria Haendel incontra Ariosto

Convince la nuova produzione dell’Ariodante, grazie anche all’ottimo cast

Ariodante (Foto Clarissa Lapolla)
Ariodante (Foto Clarissa Lapolla)
Recensione
classica
Teatro Verdi, Martina Franca
Ariodante
22 Luglio 2024 - 29 Luglio 2024

L’Ariodante  è stata una delle prime opere di Haendel ad essere riportata in scena in epoca moderna, ormai quasi un secolo fa. Ora è giustamente considerata un capolavoro e negli ultimi decenni ha avuto molte rappresentazioni nei teatri e nei festival di mezzo mondo ed è stata anche incisa varie volte, ma ben raramente la si è potuta vedere sui palcoscenici italiani. Il libretto di Antonio Salvi - che risaliva al 1708, era stato già messo in musica varie volte e nel 1734 venne ampiamente rimaneggiato per Haendel - è tratto da un episodio dell’Orlando Furioso  non troppo noto, sebbene occupi quasi due canti del poema ariostesco. Diversamente dal libretto tipico di quell’epoca, è concentrato su un’unica vicenda, senza storie collaterali, e questo dà coerenza e forza anche all’opera; ma forse concentrato non è l’aggettivo più adatto per uno spettacolo che dura oltre tre ore, nonostante la soppressione di un intervallo e delle danze e minori interventi su alcuni ‘numeri’ musicali e sui recitativi.

L’argomento resta comunque piuttosto intricato e ben difficilmente può appassionare uno spettatore di oggi, ma la musica!  L’ampia gamma di situazioni e di affetti fornita dal testo dà modo al compositore di scrivere una variegata serie di aria, una più bella dell’altra. Ne dà un esempio il protagonista Ariodante, cui spettano ben sei arie, tra cui spiccano “Con l’ali di costanza” con i suoi fitti e difficili abbellimenti e “Cieca notte, infidi sguardi”, che esprime i suoi tormenti interiori. Scritta per una superstar qual era all’epoca il castrato Carestini, la parte di Ariodante è stata ora affidata dal Festival della Valle d’Itria al mezzosoprano Cecilia Molinari, che in meno di dieci anni dal debutto è passata da comprimaria a grande protagonista ed è ora una sicurezza per la facilità non ostentata della coloratura, per il dolce e bel timbro, per  l’omogeneità della voce in tutta la tessitura e soprattutto per l’emozione che il suo canto trasmette: alle uscite finali, quand’è stato il suo turno, è scoppiato un boato che per poco non ha fatto crollare il teatro. Tre duetti - una rarità in un’opera di quell’epoca - scandiscono le alterne vicende del suo amore per Ginevra, interpretata da Francesca Lombardi Mazzulli con bel risalto espressivo.

Ma il vero deuteragonista è Polinesso, scritto da Haendel proprio per un contralto donna e non per un castrato, e questa volta cantato da una splendida Teresa Iervolino, che ha anche una presenza scenica molto efficace. Dalinda, che inconsapevolmente gioca un ruolo fondamentale nel piano di Polinesso per calunniare Ginevra, era interpretata da Teodora Raftis con spigliatezza vocale e scenica. Il re di Scozia era affidato all’autorevole ma anche agile e morbida voce del basso Biagio Pizzuti. Bene infine i due tenori Manuel Amati (Lurcanio, per cui Haendel ha scritto una parte di rilievo, cui spettano tre arie) e Manuel Caputo (Odoardo).

Federico Maria Sardelli ha tenuto viva la ricchezza di caratteri, tempi e colori dell’Ariodante, che impiega un’orchestra alquanto ricca e variegata per l’epoca. L’Orchestra Barocca Modo Antiquo lo ha seguito in modo sostanzialmente corretto, ma con alcuni vistosi inciampi degli ottoni: si sa che gli ottoni barocchi non sono facili da controllare ma si può fare di meglio.

Questa di Martina Franca era una nuova produzione, con la scena unica di Herbert Schäfer astratta e candidissima e i costumi di Vasilis Triantafillopoulos prevalentemente neri (abiti lunghi per le donne e frac per gli uomini) con qualche tocco bianco (i due abiti da sposa, che causano l’equivoco alla base dell’intrigo). Altrettanto moderna, nitida e netta la regia di Torsten Fischer, che, più che tentare l’impossibile impresa di rendere plausibile la vicenda, le dà ritmo e movimento. In breve, uno spettacolo che non fa violenza all’opera ma la ripropone efficacemente in veste moderna.

Teatro non pienissimo, specialmente dopo l’intervallo, quando alcuni hanno lasciato la sala. Ma gli spettatori veramente interessati si sono goduti fino in fondo la serata e hanno ringraziato con grande calore tutti gli interpreti.

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Dal trascinante pianoforte della Argerich all’intensa "notte" di Schönberg, i primi giorni della 28a edizione del Festival Elba Isola Musicale d’Europa.

classica

Al Teatro La Fenice la ripresa della “Turandot” nell’allestimento di Cecilia Ligorio con un cast musicale quasi interamente rinnovato 

classica

Bellissima l’interpretazione che del capolavoro seicentesco ha offerto Andrea De Carlo, tra i principali artefici della riscoperta della musica di Stradella