ITALODISCHI #2 2025 – Into the groove

Rookley, Whitemary, Delicatoni, Visconti, Post Nebbia, Buzzy Lao, Assalti Frontali, C’mon Tigre Instrumental Ensemble per gli ultimi "recuperi" del 2024

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Whitemary (foto di Fabrizio Narcisi)
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Contro il logorio dell'onda lunga sanremese, questa nuova puntata di ITALODISCHI, che racconta alcuni dei migliori dischi dell’ultimo trimestre del 2024, è l’antidoto ideale. 

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Dopo aver recuperato i migliori dischi di canzoni "classiche", in questa puntata ci dedichiamo a quegli album in cui primeggia il groove, ovvero la musica che ai costrutti armonico-melodici (che a Sanremo toccano un parossismo di sdolcinata banalità) antepongono quelli ritmici. Tante belle sorprese, andiamo a iniziare.

Rookley, Point of View

Personaggio quasi sconosciuto e intenzionalmente lontano dai riflettori, si fatica quasi a credere che Rookley sia italiano. Lui ha origini milanesi ma ha passato la vita tra New York, Londra e Berlino, dove risiede attualmente. È un producer elettronico modernissimo e nella sua musica, qui all’esordio sulla lunga distanza dopo numerosi singoli ed EP, potrete trovare riferimenti sia a una sorta di rave music attualizzata (meno energica e pompata di quella classica, ma insinuante e cerebrale come l’Aphex Twin più anfetaminico), sia a un punto di collisione tra techno, ambient e dubstep. 

A tratti, nelle ritmiche spezzate e nelle voci ultraterrene, emerge soprattutto il sound del dubstep, e volendo provocare si potrebbe affermare che Rookley sia la risposta italiana a Burial. In realtà Point of View ha un sound cosmopolita e internazionale, e come tale merita semplicemente di figurare tra le più interessanti produzioni elettroniche recenti a livello planetario.

Whitemary, New Bianchini

Tuttavia, come si sa, l’elettronica non è solo funzionale al dancefloor: può servire anche ad arrangiare le canzoni pop, o addirittura a costruirne l’impalcatura. È questo il caso di Whitemary, che col suo secondo album New Bianchini scrive un nuovo capitolo in quello stile particolare che è la canzone elettronica; quando dico “scrive” lo intendo letteralmente, poiché tutto, musica, testi e produzione, è frutto dell’ingegno dell’autrice. 

Esito spettacolare, va detto; le basi (cassa in 4 rules!) sono molto acid house, il sound asciuttissimo, i testi provocatori ma non gratuiti, il mood festaiolo ma non debosciato. Comunque, se volete ballare fino all’alba questo disco in loop regge tranquillamente l’intera nottata, senza mai smettere di divertire.

Delicatoni, Delicatronic

Anche i milanesi Delicatoni (nome orribile, ma glielo perdoniamo) per il loro secondo album cambiano registro e scelgono la via della canzone elettronica, e mostrano che all’occorrenza sanno far ballare e spingere benissimo sull’acceleratore del groove. Riescono però anche a modulare gli effetti digitali in favore di un sound più cangiante, che situerei a metà tra il techno pop degli anni Ottanta e certo easy listening da colonna sonora del decennio precedente. Alla fine sono belle canzoni, con un sound che suona al contempo classico e moderno, quindi piena promozione.

Visconti, Boy di ferro

Spingiamoci ancora più in là e al pop sostituiamo il punk hard core. È quello che fa Visconti col suo secondo album Boy di ferro; un’operazione non inedita, quella di portare il punk sul dancefloor o comunque di usarlo come chiave per scardinare strutture musicali troppo statiche, ma a non tutti riesce, mentre invece il disco di Visconti pulsa di una vitalità inconsueta e malata. 

Il sound è vicino a certo rock gotico (dai Cure ai Killing Joke), ma è mischiato con accelerazioni ritmiche che rimandano agli sperimentalismi dei Revolting Cocks e dei Wire degli anni Ottanta. Riferimenti che risulteranno del tutto inconsapevoli per il giovanissimo Valerio Visconti, che senza farlo apposta ha fatto un disco di electronic wave di tutto rispetto.

Post Nebbia, Pista nera

Ci sono poi volte in cui il groove non è probabilmente il primo obiettivo perseguito, ma finisce con essere il vero valore aggiunto di una proposta musicale. Ricordavo i Post Nebbia come un onesto gruppo indie e come tale può ancora essere classificato; ma la sua marcia in più è proprio quella di saper infondere nelle sue canzoni un beat eccitante e adattissimo al ballo, un po’ come avevano saputo fare gli Stone Roses 30 anni fa, caricando di funk canzoni dall’impianto altrimenti del tutto canonico – sentire ad esempio, come modello, un pezzo come “Io non lo so”. 

Fatto sta che Pista nera è un viaggio ritmico che rispetto a una classica produzione indie è un vero e proprio ottovolante funky, eccitante come non mai pur nel suo formato di canzone tradizionale.

Buzzy Lao, Black Karma

Diverso il discorso per Buzzy Lao, bluesman torinese ormai stanziato a Palermo. Black Karma è esplicitamente costruito su sonorità etniche, tra le quali prevalgono ritmiche afrobeat, ma anche echi di melodie arabe e blues mediterraneo. In altre parole, questo album (il terzo del cantautore) è profondamente intriso di black music, e questo rende le canzoni originali e stravaganti quanto basta, con in più un profumo esotico che le fa risultare ulteriormente affascinanti.

Assalti Frontali, Notte immensa

Non avrei scommesso molto sul ritorno degli Assalti Frontali, ma dopo l’ascolto di Notte immensa mi devo ricredere. È il decimo album per la posse romana capitanata dal carismatico Militant A; nel corso di oltre 30 anni di carriera ci sono stati alti e bassi, e mai sono stati toccati i livelli supremi dell’Onda Rossa Posse o di Terra di nessuno, seppur con una qualità media sempre dignitosa. 

Questa volta però l’antagonismo dell’hip hop si esprime con un entusiasmo speciale, forse per reagire ai mala tempora che stiamo vivendo. Le rime sono convincenti, le basi moderne e diversificate, e la capacità della band di coinvolgere e motivare l’ascoltatore trova nuova linfa, e riesce a trasmettere un sentimento di speranza e di solidarietà come non accadeva da tempo. Davvero: in questi tempi bui, di gruppi come gli Assalti Frontali c’è ancora gran bisogno.

C’mon Tigre Instrumental Ensemble, Soundtrack For Imaginary Movie Vol. 1

Per concludere, il ritorno di una delle mie band preferite in assoluto, i C’mon Tigre. Si tratta però di progetto peculiare, per due motivi. Il primo è che il gruppo al gran completo è chiamato a dare un contributo in fase di composizione, affiancando i due membri "leader" che normalmente scrivono in autonomia i pezzi, e solo dopo coinvolgono gli altri musicisti. Il secondo è che il disco nasce come colonna sonora di un film, che però non esiste; c’è solo una sceneggiatura, opportunamente orientata in stile e contenuto (la trovate nell’edizione in vinile), ma nessun girato. 

Un rovesciamento di prospettiva che è un po’ una provocazione e un po’ una sfida – chissà che un giorno il film non prenda vita per davvero… Per ora c’è la musica: una raccolta interamente strumentale di quadretti eclettici, tra etno music, panoramiche quasi ambient e classica contemporanea alla Hector Zazou. Forse per la sua stessa natura l’album fatica un po’ a imporsi all’ascolto; per apprezzarlo appieno però basta sintonizzare il televisore su un qualsiasi documentario della National Geographic, usarlo come colonna sonora, e la sua potenza immaginifica si dispiega completamente.

 

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