L’Antartide fiorita di Laura Agnusdei

Flowers Are Blooming in My Antarctica è il nuovo album ecosensibile della compositrice e sassofonista bolognese

Laura Agnusdei
Disco
jazz
Laura Agnusdei
Flowers Are Blooming in My Antarctica
Maple Death
2025

Prendiamo a pretesto l’happening “Torino per la Palestina”, replica di un’analoga iniziativa svoltasi tre mesi fa a Bologna in calendario il 9 febbraio al Magazzino sul Po, e ci occupiamo di Laura Agnusdei, che ne è ideatrice insieme ad Agnese Banti

Durante la seconda metà del decennio scorso sassofonista nei Julie’s Haircut, diplomata nello strumento al Conservatorio e titolare di un master in musica elettronica all’Institute of Sonology di Den Haag, in Olanda, la 34enne artista emiliana ha coltivato nel tempo un’attività individuale che giunge a piena fioritura nel nuovo album Flowers Are Blooming in My Antarctica, atto inaugurale della collana “Opale”, frutto della partnership fra Maple Death e Canicola Edizioni, di cui sono testimonianza il prezioso involucro e l’allegato libriccino con le illustrazioni di Daniele Castellano

Simbolo dell’Antartide citato nell’intestazione è il pinguino imperatore, specie a rischio di estinzione evocata nella ninnananna conclusiva, “Emperor Penguin Lullaby” appunto, dove ai gorgheggi di sax moltiplicati dagli echi si affianca la malinconica tromba davisiana di Ramon Moro. D’altro canto, al centro della sequenza iniziale stanno creature acquatiche: “Cuttlefish REM Phase” immagina sogni di seppia su un fondale affine alla geografia “quartomondista” di Jon Hassell, mentre “Ittiolalia”, che innesta le vibrazioni mediorientali delle percussioni su un fraseggio minimalista di tastiere, allude nel neologismo del titolo al linguaggio dei pesci.

 Tra le righe del jazz sintetico – modello Herbie Hancock nel periodo Mwandishi/Sextant – di “P.P.R.N (Physarum Polycephalum Rail Network)” affiora poi la storia della muffa mucillaginosa detta volgarmente “melma intelligente”, organismo unicellulare dotato di sorprendenti qualità cognitive. 

Appena prima, invece, è il mantra creato da un cupo groove dub e decorato con gli arabeschi disegnati dai fiati a descrivere il “mondo sommerso” dell’omonimo romanzo distopico firmato nel 1962 da James Ballard, dichiarata fonte d’ispirazione dell’opera accanto al saggio Modi di essere del pensatore “New Aesthetic” James Bridle e a Codex Seraphinianus, enigmatico libro di culto edito nel 1981 dall’architetto romano Luigi Serafini. 

 Successivamente, preceduto da un paio di episodi di natura giocosa, il sofisticato divertissement “Are We Dinos?” e una sosta esotica all’“Oasi Bar”,  arriva il momento di visitare i “Caraibi artificiali” della “Solvay Beach”: “Ma le spiagge sono sempre state bianche?’”, domanda a un certo punto una voce da speaker riferendosi a quella di Rosignano, resa tale dagli scarichi di carbonato di calcio dell’industria locale.

 Zeppo di nessi culturali e musicalmente vario, il disco – in sé notevole – trova coesione grazie all’intenzione ecosensibile che gli dà forma e senso.

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