Rava e i giovani, senza paura
I Fearless Five di Enrico Rava alle prese con vecchi temi del trombettista
Undici minuti di sospensione armonica lanciati da un breve tema col sapore del tango, dove mano a mano di dispiega una slabbrata, sontuosa tavolozza psichedelica di colori. Sono tutte energie giovani e giovanissime ad attizzare il grande incendio dell’iniziale "Lavori casalinghi", ma chi imprime al percorso lirismo assoluto e una cadenza malinconica, per poi chiudere con un beffardo unisono tromba – trombone è lui, Enrico Rava.
Il decano dei trombettisti italiani è tornato, e non cercate stille di nostalgia, un retrivo chiudersi in se stesso, per Rava: la voglia di mettersi in gioco c’è tutta, la sfida di suonare con musicisti dal tocco ficcante e avventuroso che potrebbero essere i suoi nipoti è già una garanzia.
Sono i Fearless Five: i “cinque senza paura” era il titolo di un brano scritto da Rava nel 1978, riproposto poi nel 1995 su Electric Five, e che figurava anche anche in Edizione Speciale, del 2021. Se insisti molto su un titolo, vuol dire che ha un gran significato, per te:per il decano Rava gli Intrepidi Cinque è più d’un titolo. Il ricordo va diretto agli Electric Five che furono.
È una dichiarazione di poetica e di estetica. I nuovi arrivati Matteo Paggi al trombone, quasi sessant’anni meno di Rava, ben attento a cavare dal grande ottone anche preziosi ricordi di terrosi fraseggi New Orleans, come sapeva fare Roswell Rudd, la favolosa Evita Polidoro alla batteria, signora dei poliritmi e, in un caso, anche agli interventi vocali, e poi Francesco Diodati alla chitarra, un aguzzo piromane delle corde elettriche sempre più presente sulle scene del jazz contemporaneo, Francesco Ponticelli al contrabbasso, anello di tenuta ritmica di precisione svizzera.
Enrico Rava qui, secondo una logica che apparteneva anche a Chet e Miles rimette in circolo materiali che ha scritto nei decenni, levandosi anche la soddisfazione di recuperare ben quattro brani da Animals, antico disco elettrico pessimamente distribuito all’epoca. Era un disco importante, innovativo e di una freschezza sorprendente, inciso nell’87 e pubblicato dalla Gala: ci suonavano Furio Di Castri, Augusto Mancinelli, e un diciassettenne Mauro Beggio alla batteria.
Poi ci sono due titoli da Rava Noir, il disco coi fumetti di Altan, tre da Rava Plays Rava, e così via, in un percorso che inizia nel lontano 1978 e arriva fino all’oggi.
Ma non è questo il punto: il punto è che Rava con la sua giovane band li trasforma dall’interno in una visionaria suite elettrica che sfiora molte musiche senza aver bisogno di carte d’identità di genere posticce. A volte è un affondo crudo, altre una carezza sensuale, ma è sempre e solo la sua musica.
Un altro dato da mettere in evidenza? Il suono di tromba e flicorno di Rava. Che scintilla, accarezza con languore, morde sui suoi classici glissando estremi con una fierezza assertiva che credevamo confinata a un paio di decenni fa.
Con i “Cinque senza paura”, sangue giovane e pulsante, ben consapevole di avere accanto un gentle giant, un gigante gentile che ha fatto la storia, brilla ora più che mai la stella di Rava, anche passato l’ottavo decennio della sua vita.