Fra vecchio e nuovo mondo
Il Teatro La Fenice apre la stagione sinfonica con le prestigiose bacchette di Hervé Niquet e Charles Dutoit
Concluse le recite dell’Otello del Verdi inaugurale guidato da Myung Whun-Chung, altre due bacchette prestigiose si avvicendano per aprire il nuovo cartellone sinfonico del teatro veneziano.
Programma tutto francese per Hervé Niquet, bacchetta barocchista esperta, con un impaginato insolito specialmente per la stagione sinfonica di un teatro lirico nostrano fatto di tre composizioni di raro ascolto che toccano tre generi diversi: l’opera, il sinfonismo e la musica sacra. Si comincia con l’opera e con una riscoperta relativamente recente del Niquet musicologo, che ne ha fatto anche oggetto di una registrazione con il suo complesso Le Concert Spirituel: il Persée composto nel 1682 da Jean-Baptiste Lully ma rivisto e ampliato nell’organico da Antoine Dauvergne con François Rebel e Bernard de Bury quasi un secolo dopo per le nozze del Delfino (il futuro Luigi XVI) con Marie Antoinette nel 1770 e la concomitante inaugurazione dell’Opéra Royal di Versailles. A Dauvergne si devono, in particolare, le due composizioni che aprono il concerto della Fenice con un tocco di solennità “ancien régime”. Alla pomposa esuberanza dell’Ouverture seguono le due Ciaccone che chiudono il quarto atto dell’opera, guidate con trascinante concitazione dal direttore. Si abbandona la Francia dei Borbone per entrare in quella napoleonica per l’altrettanto raro ma più interessante pezzo che segue: la Sinfonia n. 1 in sol minore di Étienne-Nicholas Méhul, considerato il padre della sinfonia romantica francese. Soprattutto nella struttura e in particolare nel contrastato primo movimento e nel Minuetto e Trio del terzo movimento è evidente il debito con il modello haydniano. Niquet chiede all’orchestra un suono nitido e leggero, come impone la prassi storicamente informata, che strappa l’applauso già nella chiusa del primo movimento ma soprattutto nell’incalzante Allegro agitato del finale, che fa intravvedere già la mano del primo Beethoven, come già intuirono due illustri ammiratori di questa sinfonia come Schumann e Mendelssohn.
Si torna alla corte del Re sole nella seconda parte del programma, interamente consacrata al Te Deum H. 146 di Marc-Antoine Charpentier. Composto fra il 1688 e il 1698 ed eseguita con grande successo all’epoca, probabilmente per celebrare la vittoria di Luigi XIV del 1692 nella battaglia di Steenkerque contro la Grande Alleanza antifrancese, è una composizione di rara esecuzione e nota soprattutto per la fanfara iniziale in forma di Rondeau, che dal 1954 serve da sigla per l’Eurovisione. Alla ricerca di un suono quanto più possibile autentico e coerente con quello francese del XVII secolo, Niquet accosta all’orchestra tradizionale del Teatro La Fenice qualche strumento d’epoca (tiorbe, flauti a becco, trombe naturali in do, suonate dai due trombettisti del teatro, e l’organo) con un risultato eccellente che conferma la grande versatilità tecnica ormai patrimonio dell’Orchestra del Teatro La Fenice. Lo stesso vale anche per il Coro del teatro in formazione ridotta, preparato con ammirevole perizia stilistica da Alfonso Caiani, che brilla per agilità e compattezza di suono nei numeri con l’orchestra. A quelli si alternano i numeri più raccolti con i cinque giovani solisti accompagnati dal basso continuo o pochi altri strumenti, il soprano Sarah Charles, il contralto Flore Royer, i tenori Léo Guillou Keredan e Attila Varga-Tóth e il baritono Halidou Nombre (un po’ incerto, anche nell’intonazione, nel “Te Deum laudamus”), tutti provenienti dall’Opéra royal de Versailles.
Grande successo per tutti e soprattutto per il direttore Hervé Niquet, che si impone non solo per la competenza filologica infusa con grande efficacia ai complessi fenicei ma anche per l’eccentrica eleganza dell’abituale marsina damascata indossata anche sul podio della Fenice.
Per Charles Dutoit, che sale sul podio una settimana dopo per il secondo dei concerti del cartellone sinfonico, si tratta di un ritorno a due anni dal debutto nel teatro veneziano in occasione del conferimento del Premio “Una vita per la musica”. In quell’occasione il menù musicale servito dal direttore svizzero prevedeva solo portate francesi composte fra fine Ottocento e primo Novecento: la suite del Pelléas et Mélisande di Gabriel Fauré, i Trois Nocturnes di Claude Debussy, la seconda suite di Daphnis et Chloé e La valse di Ravel. Più variegato il programma del ritorno dell’ottantottenne Dutoit, che si apre ancora con un Debussy, quello della Petite Suite, nei quattro quadri (En bateau, Cortège, Menuet e Ballet) arricchiti dei colori orchestrali scelti da Henri Büsser, che il direttore ottiene dall’orchestra con l’eleganza di un gesto appena accennato. Segue la Sinfonia n. 104 di Franz Joseph Haydn, l’ultima delle sinfonie londinesi (e chiamata “Londra” quasi come un suggello), solidamente proiettata sul sinfonismo proto-ottocentesco nella lettura di Dutoit, ancorata a una certa tradizione e lontana da qualsiasi moda filologica dei nostri tempi. Un tocco di eleganza quasi francese si coglie nel terzo movimento, prima della perentoria incisività del Vivace del finale.
Altro salto geografico (e non solo) nella seconda parte del concerto, nella quale viene proposta la celebre Sinfonia n. 9 “Dal nuovo mondo”di Antonín Dvořák. L’ultima sinfonia del compositore boemo fu composta e vide la luce a New York, alla Carnegie Hall, nel 1893. L’ispirazione dichiarata a motivi presi da canti popolari americani, se esiste, è piuttosto indiretta e mediata dalla sensibilità europea se non slava del compositore. In questa chiave è risolta la lettura solidamente tradizionale di Dutoit, che dal podio e senza partitura (come per le altre due composizioni) sprona l’Orchestra del Teatro La Fenice a sonorità vigorose nei movimenti d’apertura e nell’impetuoso movimento finale che chiude simmetricamente la sinfonia. È molto bello il suono disteso e il respiro orchestrale che Dutoit impone nel Largo del secondo movimento che finisce per avere più rilievo dello struggente momento solistico del corno inglese.
Altra ottima prova per l’Orchestra del Teatro e per Dutoit salutata festosamente dal pubblico che ha affollato tutte e tre le repliche in programma.
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