Mulatu Astatke, il custode dell’Ethio-jazz
Mulatu Astatke ritorna con Tension, il risultato della sua collaborazione con l'israeliana Hoodna Orchestra
La leggenda del vibrafono ritorna con il nuovo album Tension, il risultato della sua collaborazione con Hoodna Orchestra, 12 musicisti con base a Tel Aviv e innamorati dell’Afrobeat.
Mulatu of Ethiopia, uscito nel 1972, del bandleader e vibrafonista Mulatu Astatke non è soltanto un momento musicale seminale; ha dato il via a un nuovo tipo di jazz, una versione incontrata solo in qualche fugace momento nelle colonne sonore dei film blaxploitation – più funk e groovy del tipico jazz americano. Astatke ha preso le scale pentatoniche della sua Etiopia e le ha unite in qualcosa di unico ed eccitante: una mescolanza di tre culture – etiope, portoricana e americana.
Per avere un esempio significativo di questa rilassatezza ricca di stile guardate Bill Murray e Jeffrey Wright mentre tirano boccate di indica in Broken Flowers, film del 2005 del regista Jim Jarmusch, con la musica di Astatke che svolge un ruolo da co-protagonista.
Questo nuovo Tension è probabilmente la cosa migliore che abbiamo ascoltato provenire dal globetrotter etiope dai tempi di Sketches of Ethiopia, uscito una decina d’anni fa per l’etichetta Jazz Village: i soliti marchi di fabbrica di Mulatu sono presenti, con la novità di una maggiore attenzione verso il dancefloor.
Il brano che colpisce maggiormente tra i sei che compongono questo lavoro è la versione di “Delilah” di Victor Young che riporta alla mente quella registrata da Clifford Brown. Conosciuta anche come “The Song of Delilah” ispirata dal film del 1949 di Cecil B. DeMille Samson and Delilah, con Hedy Lamarr come protagonista, la canzone fu riproposta in una versione alquanto “cremosa” dal crooner Art Lund. Esiste inoltre una versione senz’altro più interessante e straordinariamente contemporanea ad opera di Nat King Cole, che vale la pena recuperare.
“Delilah” era presente nel 10” prodotto da Bob Shad Clifford Brown & Max Roach (1954), in seguito introdotto nella Grammy Hall of Fame, e qui è un evidente omaggio alle prime radici del suono di Mulatu.
Co-prodotto da Neal Sugarman dei Dap-King, Tension mette in mostra risultati grintosi, maestosi e ricchi di soul.
A questo punto Mulatu Astatke merita una breve introduzione: nato a Jimma, Etiopia, Mulatu si mosse a vivere e studiare a Londra, Boston e infine New York. Inizialmente attratto dal jazz e dalla musica latina, in un secondo momento sviluppò il suono da lui definito "Ethio-jazz" su una serie di album fondamentali che combinavano jazz, Latin, funk e soul con scale e ritmi della tradizione etiope.
Formatasi nel 2012 nella parte meridionale di Tel Aviv, l’Hoodna Orchestra è invece un collettivo di musicisti e compositori inizialmente accomunati dal condiviso amore per l’Afrobeat. Col passare del tempo hanno iniziato a incorporare rock psichedelico, hard funk e soul, jazz e musica dell’Africa Orientale (non dimentichiamo che in Israele risiedono molti appartenenti al popolo falasha, di origine etiope e religione ebraica) nelle loro pubblicazioni sempre più ricercate dal pubblico, guadagnandosi stima e spazio nelle scalette radiofoniche di personaggi come Iggy Pop e Huey Morgan su BBC Radio 6 Music.
In quella composizione ricca di energia e di fiati che è “Major” vediamo questo ensemble da sogno nuotare senza sforzo apparente nelle acque della Mingus Big Band, con assoli di organo a fare da gregari e tracce di ellingtoniana memoria, con una spavalderia alla Henry Mancini. Del resto le note di copertina parlano chiaro: «Questo è Ethio-jazz dotato di turbocompressori».
L’album è aperto dalla title track “Tension”, brano che conduce l’ormai celebre sound di Mulatu in una nuova direzione dal ritmo intenso, da cui il titolo, che fornisce un fresco terreno creativo ai suoi collaboratori. “Hatula”, brano composto dal chitarrista Ilan Smilan, a una prima parte sorniona ed elegante ne fa seguire una seconda in crescendo, dando vita a una delle vette dell’intera raccolta, mentre “Yashan” è classico Ethio-jazz lounge con una tensione sotterranea che si può tagliare col coltello e l’assolo del sax baritono di Elad Gellert che ci culla dolcemente dentro un falso senso di sicurezza.
Il disco è chiuso in maniera appropriata da “Dung Gate”, una composizione del percussionista Ran Birnbaum, un motivo lento e melodico condotto dalla sezione fiati e controbilanciato da un maremoto di percussioni e battiti delle mani: l’ascoltatore può immaginare la band che lentamente esce camminando fuori dalla sala, fendendo il pubblico al termine del suo spettacolo, con gli spettatori che applaudono a tempo con i fiati e le percussioni dell’orchestra, richiamando il ricordo di un’altra leggenda, lo scomparso Sun Ra.
Da un lato Tension è chiaramente un tributo profondamente personale della Hoodna Orchestra al leggendario Mulatu Astatke, ma allo stesso tempo le registrazioni evidenziano una rimarchevole quantità di alchimia tra i musicisti e insieme hanno creato un’aggiunta essenziale alla già ricca discografia di Mulatu che traccia nuove direzioni nella sua traiettoria Ethio-jazz e fornisce alla Hoodna Orchestra quello che finora è il suo album più convincente.