Fresu, una specie di Miles
Kind of Miles è l'omaggio di Paolo Fresu a Miles Davis, ora in disco
“Non sempre è possibile avere idee originali. Già basta l’averne di semplicemente praticabili”, scriveva il grande José Saramago in un libro da riprendere in mano, La caverna. E un altro gigante della letteratura come Jorge Luis Borges più volte ha sostenuto che “ogni generazione riscrive nel dialetto della sua epoca quello che è stato già scritto”.
Il jazz funziona (anche) così: come un dispositivo che crea arte praticabile e che riesce sempre, in qualche modo, a tener conto del proprio incessante lavorio di ri-scrittura, che lascia filtrare ed espandere l’originalità. Il contrario, insomma, di quanto la vulgata precaria sull’“improvvisazione jazz” vorrebbe farci credere.
Un signore dolce e caparbio di queste note, sovranamente indifferente a quanto possano pensare gli altri di sé, come insegnavano gli stoici, è Paolo Fresu. Musicista in grado di avere lampi brucianti di idee originali, un’attenzione motivata a quanto è praticabile e quanto si possa ancora lavorare sulla ri-scrittura.
Il penultimo disco, che festeggiava un compleanno importante per il piccolo grande uomo di Berchidda, i sessant’anni, era un originale e azzardato triplo cd con formazioni diverse, dal duo al gruppo esteso, con un collante da vertigine: tutto in improvvisazione in studio. Nessuna partitura.
Adesso il rovescio esatto, e nel segno di uno dei massimi amori per Paolo Fresu, uno di quei musicisti-faro che solo chi è affetto da arido snobismo può pensare di dribblare, Miles Davis.
È tutto dedicato al “Dark Magus” Davis Kind of Miles, spettacolo in giro per i teatri, produzione del Teatro Stabile di Bolzano, e doppio, corposo cd che raccoglie il tributo finale al jazzista che più ha segnato il percorso estetico di Paolo Fresu, assieme a Chet Baker e a una curiosità a tutto tondo per le note etniche e popular di qualità.
Kind of Miles si articola su contenuti diversi, e due formazioni, quartetto di base e sestetto: il primo cd, quasi interamente acustico, ha per sottotitolo Shadows, e coglie il periodo degli anni Cinquanta e Sessanta, ma interpolando un paio di deliziose composizioni originali di Fresu e Marco Bardoscia, esattamente nel medesimo mood.
Suonano Dino Rubino al piano, Marco Bardoscia al contrabbasso, Stefano Bagnoli alla batteria, ospiti Bebo Ferra alla chitarra e Filippo Vignato al trombone in "Back In".
La prassi si ripete e si amplifica con Lights, visionario affondo nel periodo elettrico di Miles, con la partecipazione, oltre ai musicisti già citati, di Federico Malaman a basso elettrico e Fender Rhodes, e Christian Meyer alla batteria.
Qui compare la "Time After Time" di Cindy Lauper molto amata dal genio dell’Illinois, e continuamente riproposta dai palchi nell’ultima parte della vita, ma le restanti dieci composizioni sono palpitanti schegge e frecce elettriche di composizione di Fresu e del gruppo riunito attorno a lui: tutte a bersaglio, con poesia, a evocare “una specie di Miles”.