Nala Sinephro, un'immensità ambient jazz
Al secondo album, la compositrice belga Nala Sinephro conferma il proprio valore
Tre anni fa eravamo rimasti incantati all’ascolto di Space 1.8, debutto discografico della compositrice belga di origine martinicana Nala Sinephro: figlia d’arte – la madre insegnante di piano, il padre sassofonista – emigrata a Londra e accolta dalla vivace scena jazzistica locale, che aveva fornito collaboratori di pregio alla creazione di quel primo lavoro, su tutti James Mollison degli Ezra Collective e Nubya Garcia.
Ai complici di allora se ne sono aggiunti altri per realizzare il nuovo album: tra loro spiccano Sheila Maurice-Grey, trombettista e punto focale dei Kokoroko, e gli Orchestrate, ensemble d’archi di 21 elementi ammirato già in Lives Outgrown di Beth Gibbons.
Quanto alla protagonista, nell’occasione ha scelto di usare con maggiore parsimonia l’arpa, suo strumento elettivo, che aveva suggerito ai tempi l’accostamento ad Alice Coltrane (impressione rafforzata da una comune aspirazione alla trascendenza per via musicale), affidandosi piuttosto ai sintetizzatori modulari, da lei accordati alla frequenza “mistica” dei 432 Hz e impiegati qui come fondamenta principali dell’opera.
Analogamente al predecessore, Endlessness si presenta in forma di suite scandita in episodi omonimi – in questo caso il titolo unificante è “Continuum” – numerati in sequenza, nella circostanza dieci complessivamente, per una durata totale appena superiore ai tre quarti d’ora. Il più esteso, oltre la soglia dei sette minuti, ha funzione di ouverture e ripropone l’atmosfera “ambient jazz” dell’esordio (definizione in verità disapprovata dall’autrice, benché sia arduo trovarne una più appropriata).
Durante lo svolgimento affiorano temi ricorrenti, dal fraseggio d’archi esposto con nitidezza nella quarta traccia agli arpeggi sintetici di scuola minimalista che caratterizzano la quinta e la nona, mentre le sfumature jazzistiche sono affidate al pianoforte e alla tromba (nel corso della seconda), ma soprattutto ai sassofoni, ad esempio nella sesta, in un’alternanza di paesaggi sonori oscillanti fra il lirismo soave della terza e l’angoloso incipit elettronico della settima, che però poi – decelerando – finisce per offrire scorci di ariosità orchestrale capaci di evocare addirittura Debussy.
Al culmine, in coincidenza con l’epilogo, la partitura sfocia in un crescendo carico di pathos, riassorbito infine da una rasserenante risacca ambientale. Constatata la qualità del materiale registrato, diventa interessante verificarne la resa dal vivo: prestigioso vernissage londinese il 18 ottobre al Barbican, esattamente due settimane prima dell’esibizione a C2C, che pareggia i conti con il malaugurato forfait del 2022.