L’Ermione sperimentale di Mariotti e il Barbiere candido di Pizzi

A Pesaro una nuova produzione della “azione tragica” di Rossini e il ritorno del suo capolavoro comico

Ermione (Foto Amati Bacciardi)
Ermione (Foto Amati Bacciardi)
Recensione
classica
Pesaro, Vitrifrigo Arena
Ermione e Barbiere di Siviglia
09 Agosto 2024 - 22 Agosto 2024

 

 

 

 

Emione e Barbiere di Siviglia

9 agosto 2024 – 22 agosto 2024

 

di Mauro Mariani

 

Ermione la seconda nuova produzione del ROF 2024, si ricollega e allo stesso tempo si contrappone a Bianca e Falliero,  l’altra nuova produzione del festival, perché furono entrambe composte nel 1819, l’una per il San Carlo di Napoli e l’altra per la Scala di Milano, ma sono molto diverse l’una dall’altra e offrono un’illuminante dimostrazione di come Rossini non abbia creato un modello di opera seria e lo abbia poi ripetuto più o meno uguale ma abbia invece esplorato nuove strade, soprattutto quando scriveva per Napoli, che era ancora la città italiana più creativa in campo operistico e disponeva del miglior coro e della migliore orchestra del paese del bel canto. Ma Ermione era troppo audace, tanto che fu il più grande insuccesso di Rossini e dopo poche repliche a Napoli non fu più ripresa per oltre centocinquanta anni, finché negli alcuni decenni è stata riconosciuta come una delle sue più notevoli opere serie. 

La definizione di Ermione come “azione tragica”, la scelta di un soggetto già trattato da Euripide e Racine (la fonte diretta è il secondo dei due) e la relativa stringatezza del libretto di Andrea Leone Tottola (ma sui suoi versi coturnati è meglio sorvolare) sono indicative della ricerca di una sostanza tragica che andasse al di là dei soliti plot a base di intrighi di palazzo, dissidi tra amore e potere e scambi di persona. A questa novità del soggetto corrisponde la ricerca di uno stile nuovo, come ci si accorge fin dalla Sinfonia, che è interrotta due volte (cosa inaudita!) dall’invocazione dei prigionieri troiani alla patria perduta, che sarà ripetuta appena si alza il sipario: Rossini qui fa suo in modo molto personale il principio teorizzato da Gluck che la Sinfonia debba collegarsi strettamente allo svolgimento dell’opera. 

Michele Mariotti è entusiasticamente convinto della novità di quest’opera - da lui giustamente definita sperimentale - e la sua direzione è tutta tesa a sottolinearne il carattere corrusco, teso e impetuoso con tempi serrati e dinamiche forti e anche brusche, come richiesto da un’orchestrazione molto corposa, che dà grande importanza a ottoni e percussioni. 

Accanto a questo Rossini nuovo e diverso affiora a tratti il Rossini più consueto, soprattutto nel primo atto. ma progressivamente il Rossini sperimentale si afferma con decisione e vigore sempre maggiori, culminando nella straordinaria “gran scena di Ermione”, che occupa una buona metà del secondo atto e costituisce il vertice tragico dell’opera. Con la sua furente drammaticità questa splendida pagina supera d’un balzo ogni schema formale e stilistico, passando e ripassando liberamente dal canto melodico al declamato e viceversa, con una tensione che inchioda l’ascoltatore, grazie anche alla magnetica interpretazione di Anastasia Bartoli. La voce di questa giovane soprano spazia con facilità (seppure con qualche disuguaglianza di timbro) dal registro grave all’acuto, come esige questa parte tremendamente difficile, scritta per la grande Isabella Colbran. La sua tecnica non è quella di una belcantista pura ma le permette di superare senza affanni le difficoltà che si presentano ad ogni passo. Ma quel che più colpisce è il suo forte temperamento, perfetto per i furori di questo personaggio aspro, esasperato, tragico.

Qualche difficoltà ad adattarsi alle esigenze di una parte anch’essa tremendamente difficile come quella di Pirro è avvertibile in Enea Scala, che non è un baritenore qual era il grande Andrea Nozzari, primo interprete di questa parte. Nonostante ciò risolve efficacemente il personaggio con l’impeto delle fitte colorature e l’energica ‘cattiveria’, che corrispondono alla tortuosità e alla perfidia del personaggio.

Anche Oreste non è certamente il tipico ‘buono’, tanto che è lui ad uccidere Pirro, ma la regia lo presenta in una luce positiva, vestito totalmente di bianco in contrapposzione all’abbigliamento dark di Pirro. Juan Diego Florez sembra andare nella stessa direzione, con una linea di canto impeccabilmente tersa e tranquilla, riducendo al minimo le colorature e gli acuti, che non sono più nelle sue corde mentre erano i punti di forza del primo interprete, Giovanni David. Anche il ruolo di Andromaca fu scritto da Rossini per una delle più grandi voci del suo tempo, il contralto Benedetta Pisaroni, ma Victoria Yarovaya si limita a cantarlo in modo corretto, riducendolo a una figura piuttosto pallida. Si fanno invece onore gli interpreti dei personaggi minori, tra cui spiccano il Pilade di Antonio Mandrillo, il Fenicio di Michael Mofidian e il Cleone di Martiniana Antonie. Grandi protagonisti sono anche l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e il Coro del Teatro Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina.

La regia di Johannes Erath (scene di Heike Scheele, costumi di Jorge Jara e luci, qui fondamentali, di Fabio Antoci) rappresenta i personaggi (figli di eroi omerici: Ermione di Menelao e Elena, Pirro di Achille, Oreste di Agamennone) come esseri degenerati, non astenendosi da alcuni tocchi ironici che fanno pensare al cabaret del periodo di Weimar. Ha qualche idea superflua, come Eros gender fluid che si aggira per il palcoscenico, ma anche idee giuste, come Andromaca coi capelli bianchi, per ricordarci che, in quanto vedova di Ettore, appartiene a una generazione più anziana di quella degli altri protagonisti, rendendo così più perverso l’amore morboso di Pirro per la vedova di chi fu ucciso da suo padre. Nel complesso una regia in linea con la cupezza di questa tragedia.

Alla Vitrifrigo Arena è andata in scena anche l’opera rossiniana per eccellenza, Il Barbiere di Siviglia. Era la ripresa dell’allestimento creato nel 2018 da Pierluigi Pizzi, che si svolge in una Siviglia totalmente bianca, come sono (o erano) le città e i paesi dell’Andalusia. I costumi sono bianchi e neri, vivacizzati da alcuni tocchi di colore. In questa cornice lineare e sobria la vicenda di Figaro e compagni si dipana ma anche con brio, leggerezza e – come è ovvio, conoscendo chi firma la regia - eleganza.

Sul podio sta Lorenzo Passerini, che non convince pienamente nella Sinfonia, piuttosto monocroma, ma poi dà a questa commedia un ritmo vivace, veloce ma non troppo incalzante, avendo sempre cura di mettere a loro agio i cantanti. Andrzej Flonczyk ha già interpretato varie volte Figaro: molti lo ricorderanno nell’edizione dell’Opera di Roma con la direzione di Daniele Gatti e la regia di Mario Martone, trasmessa in streaming durante il lockdown. È un factotum baldanzoso ma simpatico, mentre altri cantanti lo rendono eccessivo, invadente e in definitiva antipatico. La voce è sicura e sana e sale all’acuto senza problemi, eppure si avverte che non ha avuto una formazione belcantista. Maria Kataeva ha invece assolutamente tutte le carte in regola per cantare Rossini, con una bella voce vellutata di contralto e agilità facili e pulite, nonché una bella presenza scenica.  Non all’altezza è l'Almaviva di Jack Swanson, un tenorino dal timbro gradevole ma in palese difficoltà in “Ecco ridente in cielo” e sempre in bilico in “Cessa di più resistere”. Di Carlo Lepore e Michele Pertusi basti dire che sono semplicemente perfetti nelle parti, rispettivamente, di Bartolo e di Basilio.  

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