Tosca e l’archistar

Massimiliano Fuksas debutta come scenografo d’opera alle Terme di Caracalla

Tosca (Foto Fabrizio Sansoni)
Tosca (Foto Fabrizio Sansoni)
Recensione
classica
Roma, Terme di Caracalla
Tosca
05 Luglio 2024 - 09 Agosto 2024

La stagione lirica estiva del Teatro dell’Opera alle Terme di Caracalla si è aperta con Tosca,  una scelta non molto originale in quest’anno pucciniano ma che funziona sempre, infatti la vasta platea era strapiena. Di originale c’era per la messa in scena, che vedeva il debutto come scenografi di un’opera dell’archistar Massimiliano Fuksas e da sua moglie Doriana.

Ovviamente nessuno si aspettava da loro che riproducessero in stile cartolina turistica i tre luoghi di Roma in cui si svolge la Tosca:  per questo ci sono già le storiche scene disegnate da Adolf Hohenstein per la prima del 1900, che continuano ancor oggi ad essere usate dall’Opera di Roma. Questa volta invece quei luoghi sono appena accennati da alcune foto di particolari architettonici proiettate sui due grandi piloni delle terme romane che sorgono dietro le scene: ma sono dettagli secondari. La scena unica o più esattamente il “progetto scenografico” dei Fuksas è una struttura bianca, che si estende in larghezza ben oltre il già amplissimo palcoscenico, mentre in altezza è abbastanza bassa da non impedire la visione degli imponenti ruderi alle sue spalle. La si direbbe un paesaggio collinare innevato, dove però invece di morbide curve ci sono linee rette e angoli: potrebbe andar egualmente bene per qualsiasi altra opera, infatti tra pochi giorni servirà anche per la Turandot. All’inizio il sottoscritto e sicuramente molti altri spettatori sono rimasti sconcertati ma poi hanno man mano cominciato ad apprezzare. 

A far capire che si tratta proprio di Tosca  contribuisce la proiezione su quel niveo candore di frasi latine che riprendono parole presenti nel libretto (Libera me Domine, peccata, Te Deum) oppure forniscono un’indicazione del luogo in cui si svolge l’azione: Sancta Basilica, Palatium Farnesiorum, Castrum Sancti Angeli o ancora sono i titoli dati ai vari “capitoli” del secondo atto, per esempio in angustiis e tormentum. Queste parole latine, scritte in caratteri capitali come le iscrizioni sui monumenti della Roma imperiale e della Roma dei papi, stanno a rappresentare la violenza di due poteri, quello religioso e quello politico, che è il sottotesto della Tosca. Lo spiega Francesco Micheli nelle sue note di regia ma è importante che lo spettatore possa intuirlo da solo, senza bisogno di spiegazioni.

Le scritte non basterebbero a fare una regia. Se la regia di Micheli - questa volta accanto a lui c’era anche quella figura, tipica dei teatri tedeschi ma rara in Italia, che è il ‘drammaturgo’, nella persona di Alberto Mattioli, che sicuramente capisce di opera e la ama - funziona benissimo, i motivi sono altri. Innanzitutto la recitazione, che non è affatto melodrammatica e nonostante ciò, anzi proprio per questo, è essenziale, forte e incisiva. E grazie allo sfondo bianco su cui si stagliano i personaggi, anche i gesti non vistosi, che passerebbero inosservati date le dimensioni del palcoscenico, assumono un bel rilievo teatrale.

Naturalmente, come in ogni regia dei nostri giorni, non possono mancare soluzioni sorprendenti, non previste da libretto e musica. Questa volta non erano insensate ma ben ideate e ben realizzate. La tortura di Cavaradossi si svolge sotto gli occhi del pubblico: non è troppo truculenta, ma comunque se ne vede la crudeltà, a cui si cerca di non pensare, quando tutto avviene dietro le quinte. La scena in cui Tosca uccide Scarpia è totalmente riscritta: Tosca non lo pugnala nel momento in cui egli le si avvicina, ma quando le cose sono già andate molto oltre e i due sono avvinghiati semisvestiti in un amplesso, cosicché gli ultimi rantoli e sussulti di Scarpia morente si mischiano a quelli dell’orgasmo. Funziona meno bene la conclusione dell’atto, quando Tosca non officia la cerimonia funebre con i candelabri intorno al cadavere di Scarpia, ma si riveste con indifferenza: questo anticlimax sicuramente non è quel che Puccini desiderava. Invece è forte e ben riuscita la scena dell’esecuzione di Cavaradossi, che viene ucciso con una revolverata alla nuca da un militare, che prima si era giocato a sorte con un commilitone tale prerogativa: agghiacciante.

Un po’ bizzarri i costumi. Si potrebbe pensare che Cavaradossi fosse vestito in abiti moderni perché è un uomo d’idee progressiste, e che Scarpia indossasse un costume dei tempi dell’ancien regime, perché è un reazionario. Tosca iniziava con abiti di foggia antiquata e finiva con abiti d’epoca più moderna, ma non proprio all’ultima moda: forse per indicare che si è avvicinata alle idee del suo Mario?

Sul podio stava Antonino Fogliani. Gli accordi dell’orchestra, che aprono l’opera col tema di Scarpia, sono esplosivi e di grande effetto. Ma presto ci si accorge che è il risultato di un’amplificazione che definire eccessiva è eufemistico.  Sono le voci a soffrirne di più: il timbro diventa metallico, il vibrato viene accentuato, non esistono più mezzevoci e sfumature. “Recondita armonia”, ne esce distrutta: tutto forte dall’inizio alla fine. Poi le cose migliorano o perché qualcuno interviene a regolare l’amplificazione o perché i cantanti prendono meglio le misure o forse perché l’orecchio si abitua.

Si apprezza così la freschezza della Tosca di Carmen Giannattasio, nonostante l’amplificazione impedisca di gustare pienamente il suo bel timbro lirico. Fin dall’entrata in scena la sua Tosca è una giovane donna innamorata, appassionata, sensuale e quindi anche gelosa, non una caricatura della prima donna, una virago furente, tanto da indurre a compatire Cavaradossi e a chiedersi come possa sopportarla. Bella “Vissi d’arte”, bellissime le tante sfumature dei suoi duetti con l’amato. Cavaradossi è Saimir Pirgu, che dopo la sua prima sfortunata aria trova una linea vocale più morbida e controllata, lasciando il desiderio di ascoltarlo in condizioni acustiche migliori. Claudio Sgura declama più che cantare Scarpia - a cui Puccini stesso concede ben poche frasi cantabili - e sottolinea efficacemente la sua gelida perfidia. Bene i comprimari, tra cui meritano almeno una citazione il sacrestano di Domenico Colaianni e l’Angelotti di Vladimir Sazdovski. Ritornando a Fogliani, la sua direzione è piaciuta per l’energia drammatica e per il bel lirismo, ottenuti con tempi rispettivamente un po’ più mossi e un po’ più distesi del consueto e con le giuste tinte cha ha dato all’orchestra pucciniana, seguìto ottimamente dai complessi artistici del Teatro dell’Opera. Pubblico, tra cui moltissimi stranieri, soddisfatto e plaudente.

 

    

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