Pappano è tornato a Roma col Requiem di Verdi
Splendida esecuzione con i complessi di Santa Cecilia
Nel 2005, primo suo anno come direttore musicale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Antonio Pappano ha diretto i Requiem di Verdi, Brahms e Britten (da notare: tre Requiem in tre lingue diverse di tre autori di tre diverse confessioni religiose) e ricevette per quelle esecuzioni il Premio Abbiati della critica musicale italiana come miglior direttore dell’anno. Ora, nel primo anno in cui non è più direttore musicale ma direttore emerito, è tornato a Santa Cecilia con la Messa da Requiem di Verdi: fare un raffronto con la sua interpretazione di quasi venti anni fa è più che spontaneo, è inevitabile, pur nella consapevolezza che nel confronto giocano un ruolo non solo le reali differenze nella direzione di Pappano ma anche la memoria dell’ascoltatore.
Fatta questa premessa, entrambe le esecuzioni – quella attuale e quella di tanti anni fa - sono molto tese e drammatiche, con contrasti dinamici che dal fortissimo apocalittico del “Dies irae” e dal fortissimo quasi altrettanto potente di “Hosanna in excelsis” (già, perché il fortissimo non esprime terrore e minaccia ma la presenza numinosa della divinità) giungono fino a celestiali pianissimo di ultraterrena dolcezza. Ma sia lo scatenamento sonoro sia l’abbandono estatico sono calibrati al millimetro. Il suono dell’orchestra è sempre non soltanto perfettamente controllato ma addirittura cristallino, anche quando la grancassa viene percossa con una violenza che fa temere che stia sul punto di essere sfondata. Da parte sua il coro è miracoloso sia nell’attacco sottovoce e nelle sottili variazioni di dinamiche, colori e inflessioni dell’iniziale “Requiem aeternam” sia (dopo un “Te decet hymnus” non perfettamente controllato, ad essere proprio pignoli) nell’esplosione del “Dies irae” e nei successivi diversi ritorni di questa sorta di leitmotiv del Requiem verdiano.
Nonostante le somiglianze, queste due esecuzioni sembrano però diverse. Quella del 2005 era più melodrammatica, come se quattro personaggi (i solisti) e l’umanità intera (il coro) esprimessero le loro reazioni al momento di doversi confrontare con il mistero della morte. Invece questa volta il “Dies irae” e gli altri momenti corali erano non tanto espressione di sentimenti individuali ma momenti di un rito, tanto che conservavano qualcosa del supremo distacco dalle passioni di questo mondo del canto gregoriano: un canto gregoriano moltiplicato per cento. Quanto alle pagine solistiche, l’ “Ingemisco” non aveva quel tono da aria operistica, che personalmente ho sempre trovato fastidiosamente fuori luogo: Pappano ha chiesto al coreano SeokJong Baek di non dar sfogo alla sua bella voce di tenore lirico ma di mantenere una linea compassata e un tono leggermente distaccato. Si potrebbero fare altri esempi: l’attacco del “Libera me” da parte del soprano Masabane Cecilia Rangwanasha non era teso e drammaticissimo come se fosse l’introduzione alla scena madre di un melodramma. (A questo punto dobbiamo aprire una parentesi per un giusto tributo a questa giovane cantante dal timbro immacolato e dolcissimo, capace di splendide messe di voce e di filati lunghissimi, senza lasciare trasparire il minimo sforzo, come se non avesse bisogno di respirare mai, a differenza di noi poveri mortali). Pappano non ha chiesto a questo splendido quartetto vocale (gli altri erano Elina Garanča, a cui un certo distacco è connaturato, ma che classe!, e il giovane Giorgi Manoshvili, che troviamo più maturo per voce e interpretazione ogni volta che lo ascoltiamo) di sacrificare le loro voci, ma di usarle non per svettare individualmente bensì per offrire il loro fondamentale contributo all’insieme. In effetti tra i grandi momenti di quest’esecuzione brillavano le pagine che univano sia i vari solisti, come l’Offertorio e “Lux aeterna”, sia i solisti e il coro, come “Lacrymosa” e “Agnus Dei”.
Superfluo parlare degli applausi, che sembravano non voler finire mai, finché sono state accese le luci in sala, a significare che era ora di uscire.
PS Questo Requiem, però con voci parzialmente diverse, verrà portato al Festival di Pasqua di Salisburgo, così come il prossimo concerto diretto da Jakub Hrůša: quindi restandocene comodamente a Roma, potremo sentire metà di quel festival.
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