I Vespri secondo Emma Dante
Verdi al San Carlo di Napoli
Bentornati, I Vespri Siciliani: al San Carlo mancavano dal 15 maggio del 2011. Più di dieci anni. Ieri andati in scena con la regia di Emma Dante, in una coproduzione con il Massimo di Palermo, il Comunale di Bologna e il Real di Madrid, dal 21 gennaio al 3 febbraio. Gustosa, brillante, a volte spiccia, divisa tra mafiosi e patrioti, pastosità sinfonica e filigrane luccicanti, tra bel canto e delicatezze di antica polifonia italiana, l’opera di Verdi merita tutta di essere riscoperta. Nell’allestimento in stile Padrino di Dante, con la macchina scenica tutta sui ritmi di Sandro Maria Campagna e un buon cast, tiene avvinti soprattutto nella seconda parte.
Il merito primo della qualità dei Vespri sta nel libretto, la versione italiana, sorprendentemente: non esiste opera importante senza un buon libretto. Qui trama e lessico sono dell’omonimo in francese di Scribe e Duveyrier incentrato sui conflitti sentimentali dei personaggi, capolavoro audace per la Parigi cosmopolita dell’esposizione Universale 1855, ispirato all’occupazione angioina dell’isola. Il triangolo tra padre, figlio, l’amore di Elena, si arricchisce per la presenza di una figura cupa e talvolta goffa di Procida. Altro pregio dei Vespri è la destrezza sull’orchestra. La vulgata che vuole un eccellente Verdi maestro di Traviata e Rigoletto e basta, alla prova sul campo si dimostra un pregiudizio tutto da sfatare: dalla matrice dell’orchestra scorrono le nuove forme, i balletti, la tarantella, il bolero, assoli-cantabili e duetti tutti modellati sulla situazione drammatica, per mettere in scena un grand-opéra. Nella buca napoletana, è sceso Henrik Nánási: direttore di fama, richiesto nel mondo, corretto e sicuro. Ma privo di fascino e drammaticità. Buon conduttore. Ma senza la vibrazione di chi scopre e forgia impasti timbrici. L’orchestra del San Carlo non ha bisogno di battitori, bensì di poeti che incantano. Il magnetismo deve attrarre in primo luogo la buca e di riflesso il palcoscenico ed il teatro. Al contrario realistico era il gioco della scena di Carmine Maringola, con la fontana di piazza Pretoria, la sua cancellata come prigione, i gonfaloni con i volti di celebri vittime di mafia, a disegnare una via crucis della città come dolorosa memoria. Tutto descritto con dettagli affettuosi, nostalgici. In contrasto l’oro sfarzoso del palazzo di Monforte oliato a meraviglia dalle luci di Cristian Zucaro. In squadra, numerosa, la compagnia capeggiata da Piero Pretti (Arrigo), messo a dura prova nella parte del tenore; accanto Maria Agresta (La Duchessa Elena), elegante di fraseggio, Mattia Olivieri giovane ma possente di voce, perfetto da vedere negli abiti acetati di Vanessa Sannino, e un buon Alex Esposito nella parte di Giovanni da Procida. Molto successo, teatro pieno alla prima.
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