Il Nabucco barocco di Schwetzingen

Il Theater und Orchester Heidelberg riporta in scena il Nebucadnezar di Reinhard Keiser nell’ambito del festival “Winter in Schwetzingen”

 Nebucadnezar (Foto Susanne Reichardt)
Nebucadnezar (Foto Susanne Reichardt)
Recensione
classica
Schwetzingen, Rokokotheater
Nebucadnezar
01 Dicembre 2023 - 04 Febbraio 2024

Di Nabucco nella storia dell’opera non c’è solo quello arcinoto del Verdi nazionale. Re Nabū-kudurrī-uşur II ossia Nabucodonosor II, distruttore di Gerusalemme e promotore della ricostruzione di Babilonia, è anche il protagonista dell’opera in tre atti di Reinhard Keiser dal titolo di lunghezza wertmülleriana di Der Gestürtzte und wieder Erhöhte Nebucadnezar, König zu Babylon unter dem großen Propheten Daniel (ossia: L’abbattuto e sorto di nuovo Nabucodonosor, re di Babilonia sotto il grande profeta Daniele) o più semplicemente Nebucadnezar presentata per la prima volta nel Carnevale del 1704 all’Opera del Gänsemarkt di Amburgo, raro teatro pubblico in terra tedesca gestito dallo stesso Keiser come impresario. Dopo l’Ulysses  della passata edizione, continua dunque la ricognizione di una delle figure fondamentali nella produzione operistica barocca tedesca da parte di “Winter in Schwetzingen”, festival ormai quasi ventennale promosso dal Theater e Orchester Heidelberg nella vicina Schwetzingen.

Nonostante l’onore del titolo, il re babilonese non è il protagonista della vicenda vagamente ispirata al biblico Libro di Daniele. Il vero centro drammaturgico è una vicenda parallela, ossia l’intricato meccanismo, come il teatro barocco impone, messo in moto più o meno consapevolmente da Darius, principe di Media, conteso dalla conterranea principessa Cyrene, alla quale è legato, e da Barsine, figlia del re Nebucadnezar. Con quest’ultima è colpo di fulmine istantaneo, mentre su Cyrene ha messo gli occhi anche Beltsazer, l’altro figlio di Nebucadnezar. A complicare il quadro si mette Adina, moglie del re di Babilonia e incapricciata a sua volta di Darius. Ossessionato da tremende visioni puntualmente interpretate da Daniel, prigioniero ebreo alla corte di Babilonia come il compagno Sadrach, Nebucadnezar viene spodestato dalla consorte Adina. Impadronitasi del potere, la regina non esita ad avvelenare la figlia Barsine per liberarsi della rivale e conquistare Darius. Qualcosa però va storto col veleno e Barsine si risveglia dalla morte apparente ricongiungendosi all’amato Darius esultante. Alla fine, Beltsazer si unisce a Cyrene, mentre Adina vede svanire tutte le sue ambizioni. E Nebucadnezar? Nella sua follia viene incoraggiato da Daniel a recuperare le forze grazie alla fede nel solo Dio.

L’allestimento sul piccolo palcoscenico del Rokokotheater di Schwetzingen firmato dal regista Felix Schrödinger è fatto piuttosto in economia ma senza risparmiare sui classici cliché di sapore didascalico. La scena fissa di Pascal Seibicke, come i costumi di foggia contemporanea e per niente regali, è uno spazio vuoto tutto dipinto di azzurro con al centro un grande letto con baldacchino, che vuol forse simboleggiare l’amore come motore della vicenda. La presunta conversione del folle Nebucadnezar è mostrata, in maniera piuttosto corriva, con un profluvio di simboli religiosi cristiani prima ancora che ebrei e dall’apparizione dello stesso re vestito come un Cristo, prima del suo crollo psicologico definitivo che lo costringe su una sedia a rotelle con tanto di flebo amorosamente sistemate da Daniel e Sadrach. Il resto è il solito girotondo di affetti con la crudelissima Adina in pelliccia e tacchi a spillo e monumentale cofana cotonata a menare la danza.

Più interessante la dimensione musicale di questo Nebucadnezar che fa collocare Reinhard Keiser fra il dramma in musica monteverdiano (ma senza averne la varietà espressiva) e il grande teatro musicale barocco di Georg Friedrich Händel, che proprio da Amburgo inizierà la sua luminosa parabola artistica: arie brevi e di tono molto vario, scrittura vocale molto elaborata, qualche ensemble. Sul podio della Philharmonisches Orchester di Heidelberg, con qualche innesto barocchista per il basso continuo e i fiati, c’è Dorothee Oberlinger in un’inconsueta veste direttoriale, anche se riprende il suo flauto per accompagnare un’aria di Darius. L’esecuzione segue i crismi della prassi storicamente informata, il suono è agile e scattante, e rende piena giustizia alla ricca scrittura orchestrale di Keiser.

Ben assortito anche il plateau di interpreti in scena, su cui stravince la pirotecnica vocalità del sopranista Dennis Orellana, che è un Darius che coniuga espressività e tecnica vocale ferrea. Ottimi anche le prove dei due tenori João Terleira, un Daniel sofferto come un Evangelista bachiano, e Stefan Sbonnik, un Beltsazer un po’ fuori fuoco all’inizio ma che cresce e si impone sulla distanza. Ben assortito il trio delle dame dominato da Hélène Walter, un’Adina di buon controllo vocale, mentre Sara Gouzy, Cyrene, e Theresa Immerz, Barsine, presentano qualche fragilità. Convince decisamente meno Florian Götz, un Nebucadnezar piuttosto impacciato nell’espressione e non aiutato da un colore vocale poco attraente. Interessante invece la prova di Franko Klisović nel piccolo ruolo controtenorile di Sadrach.

Qualche vuoto in sala nell’ultima recita prima delle feste. Caldi applausi. Si replica fino a febbraio.

 

 

 

 

 

 

 

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