A Francoforte il diavolo vola e Venere fa la palazzinara
All’Oper Frankfurt la ripresa de La notte prima di Natale di Rimskij-Korsakov e la prima di Ascanio in Alba di Mozart
Nel programma delle feste dell’Oper Frankfurt fortunatamente non c’è solo l’Aida in versione teatro della crudeltà, che, comunque, grazie soprattutto a Verdi, si avvia a essere campione di incassi. A distanza di pochi giorni il teatro ha presentato nei due palcoscenici dell’Opernhaus e del Bockenheimer Depot due allestimenti che riscattano l’infelice prova verdiana.
La notte prima di Natale di Nikolaj Rimskij-Korsakov è una scelta quasi obbligata non solo per il periodo ma soprattutto perché si tratta di uno degli spettacoli più riusciti delle stagioni recenti dell’Oper Frankfurt, indicato, fra l’altro, come “miglior allestimento della stagione 2021/22” dalla rivista Opernwelt . Una ripresa era dunque obbligata, tanto più che lo spettacolo era andato in scena nel dicembre 2021 in una sala a capienza fortemente ridotta per l’imperversare della pandemia.
L’opera di Rimskij-Korsakov, presentato in prima assoluta al Teatro Marinskij nel 1895, è un’autentica favola di Natale anche se condita dalle pungenti annotazioni di costume di Gogol’, che fornisce il soggetto con il suo racconto Il fabbro Vakula del 1874 (come anche per Gli stivaletti di Čajkovskij del 1885). Si racconta di come il fabbro Vakula, figlio della strega Solocha e, si dice, del diavolo in persona, riesca a conquistare il cuore della bella smorfiosetta Oksana, regalandole l’impossibile, ossia le scarpe della zarina Caterina La Grande. Naturalmente, se Vakula ce la fa a coronare il suo sogno, è soprattutto grazie al diavolo, che ci mette lo zampino ma anche le proprie ali, permettendo così al fabbro di volare a San Pietroburgo e di presentare la propria richiesta alla zarina in persona, ben lieta di accontentarlo. L’happy end è assicurato come vuole ogni buona favola natalizia degna di questa definizione.
Si vola molto nell’allestimento firmato da Christof Loy (e ripreso da Aileen Schneider) che si avvale delle coreografie “aeree” di Klevis Elmazaj e di Ran Arthur Braun per i movimenti in volo del diavolo, della strega Solocha e di Vakula. Nascosta da un sipario che rappresenta un cielo affollato di galassie e pianeti, la scenografia di Johannes Leiacker è una scatola bianca fatta di pannelli quadrati che si aprono in porte e passaggi (ci sta anche un enorme spicchio di luna), decorati con lucine che servono a trasformarlo nel cielo del villaggio ucraino di Dykan’ka e nello scintillante salone della reggia di Caterina a San Pietroburgo. Solo una piccola cometa nera graffia il bianco di quel cielo, forse per ricordarci le ferite patite oggi da quella terra. Per il resto, il profluvio di costumi di Ursula Renzenbrink, di foggia sobriamente contemporanea (e trionfo di colbacchi) per gli abitanti di Dynan’ka e sontuosamente settecenteschi per la reggia di Caterina difesa da soldati usciti dallo Schiaccianoci, sostengono benissimo il racconto scenico di Loy condotto con leggerezza, ironia e qualche parentesi surreale affidata ai frequenti momenti di danza. Per una volta, lieto fine senza derive malinconiche (che tutti dobbiamo morire lo sappiamo già benissimo) con la coppia Vakula e Oksana festeggiata da tutti gli abitanti del villaggio davanti a un grande abete addobbato.
Davvero eccellente la compagnia di canto, con protagonisti l’incantevole Oksana di Julia Muzychenko e l’efficace Vakula di Georgy Vasiliev, contornati di ottimi caratteristi a partire Enkelejda Shkoza, una scatenatissima Solocha e donna dal naso violetto, che mette un po’ in ombra al diavolo di Andrei Popov. Inho Jeong è un vocalmente di peso Čub, padre di Oksana, irresistibilmente comico nella buffonesca scena del convegno amoroso da Solocha con Peter Marsh come diacono Ossip e Sebastian Geyer come borgomastro. Accanto a loro da citare Bianca Andrew, che regala alla zarina un tocco di aristocratica eleganza, e Changdai Park, un Panas malinconicamente lunare. Buone le prove del Coro dell’Oper Frankfurt e della Frankfurter Opern- und Museumsorchester, quest’ultima diretta qua e là in maniera arruffata da Takeshi Moriuchi. Comunque, divertimento, molte risate, grande successo.
Coloratissimo anche l’allestimento dell’Ascanio in Alba, firmato da Nina Brazier per la regia, Christoph Fischer per la giallissima scena sferica (“la beata sfera” dove soggiorna Venere) e Henriette Hübschmann per gli psichedelici costumi.
La festa teatrale su libretto di Giuseppe Parini, composta dal giovane Mozart nel 1771 per celebrare le nozze dei nobili rampolli Ferdinando Carlo, figlio di Maria Teresa d’Austria, e Maria Ricciarda Beatrice d’Este, nipote del duca di Modena, viene spostata in un futuro lontanissimo da quel mondo ma prossimo a noi. Protagonista è Ascanio, figlio di Enea e suo successore, nonché mitico fondatore della città di Alba Longa, da dove ebbe origine la dinastia dei Re albani. Da loro discese anche Rea Silvia, che, fecondata dal dio Marte, partorì i gemelli Romolo e Remo, leggendari fondatori di Roma, culla di numerosi imperi a venire in ossequio alle auguste altezze imperiali presenti alla festa.
Questo il mito. Parini con una certa libertà immagina come perno della vicenda una Venere tuttofare, qui madre di Ascanio (“Madre, che tal ti piace / esser da me chiamata, anzi che Dea…”), che dispone delle volontà di tutti e in particolare dei futuri sposi, compresa quella della sposa promessa Silvia, predisposta già in sogno ai futuri sponsali da un complice Amore.
La dea parla di fondare una città “ch’oggi da noi avrà illustre principio”, da affidare ad Ascanio poiché “con la mia Deità regnar non posso: Tu qui regna in mia vece.” Naturale immaginarla come una donna manager a capo di una società di costruzioni, che ha sede proprio nella “beata sfera”, dove Parini la colloca. Venere vede anche la futura Alba come una sfera, forse meno beata ma economicamente opulenta coperta da una selva di grattacieli secondo quanto indica il plastico divino. Un’attualizzazione spiritosa che, con tutto l’agile cast, porta una ventata di freschezza a un lavoro di carattere inguaribilmente celebrativo. Karolina Bengtsson e Cecelia Hall incarnano la giovane coppia di sposi, lei pudicamente gioiosa, “lui” più trattenuto nell’espressione, mentre Kateryna Kasper, è una Venere autorevole anche sul piano delle complessità vocali. Completano il cast, la frizzante Anna Nekhames, un Fauno di civettuola femminilità, e Andrew Kim, un Aceste fin troppo introverso. L’agile direzione di Alden Gatt alla testa della Frankfurter Opern- und Museumsorchester aggiunge colore al già coloratissimo palcoscenico.
Pubblico numeroso, piuttosto freddo durante lo spettacolo, più disteso alla fine quando si scioglie in caldi applausi per tutti.
Ascanio in Alba (Foto Barbara Aumüller)
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