L’ordine è alfabetico. Netta la prevalenza femminile: anche nelle band citate figurano – spesso in primo piano – artiste. È stato un anno in cui le donne hanno fatto meglio degli uomini: non solo in musica. Perciò: tifiamo matriarcato.
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1. Jaimie Branch, Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((world war)) (International Anthem)
L’involontario testamento di “Breezy”, uccisa due estati fa da un’overdose di oppioidi all’età di 39 anni. “Un album rigoglioso, potente e pieno di vita”, l’hanno definito nelle note di copertina i suoi partner musicali, fotografandone con esattezza il carattere nel quale riluce una visione spregiudicatamente elastica del jazz.
2. Fever Ray, Radical Romantics (Rabid)
Nel terzo lavoro da solista in stato “febbricitante”, Karin Dreijer esplora il sentimento amoroso in maniera niente affatto leziosa, elevandolo addirittura al rango di sovversivo agente politico. Assecondata a tratti dal fratello Olof, come ai tempi di The Knife, riafferma con voce alterata dalle tecnologie quanto affilato sia il suo linguaggio pop.
3. PJ Harvey, I Inside the Old Year Dying (Partisan)
Ramificazione discografica del romanzo in versi Orlam, scritto nell’arcaico idioma del Dorset e pubblicato nel 2022: la cantautrice britannica ne ha tradotto in musica il realismo magico impiegando strumenti tradizionali e sintetici, oltre a rumori captati nella natura. In questo modo ha ritrovato l’ispirazione selvatica degli esordi.
4. Marina Herlop, Nekkuja (Pan)
La compositrice e performer catalana ha spostato ancora più avanti il proprio orizzonte espressivo, muovendosi fra guizzi d’avanguardia, tambureggiare tribale e arcaiche architetture polifoniche. Se su disco l’effetto può sembrare ermetico, in concerto – al Lingotto di Torino, durante C2C – ha svelato la sua irresistibile indole sensuale.
5. Irreversible Entanglements, Protect Your Light (Impulse!)
Al debutto nella “casa costruita da Trane”, registrando nel medesimo studio in cui aveva preso forma A Love Supreme, il quintetto guidato dalla Madre Mora Camae Ayewa si esprime ai massimi livelli ed espone nuovamente l’impareggiabile euforia anarchica del jazz libero e il proprio spontaneo slancio militante.
6. Kara Jackson, Why Does the Earth Give Us People to Love (September Recordings)
Vera rivelazione del 2023 è una ventitreenne poeta laureata e cantautrice proveniente dall’hinterland di Chicago: artista dall’identità complessa e il talento già maturo. Al focoso estro letterario unisce una scrittura musicale che rimanda al folk e al blues, senza suonare anacronistica, esprimendo una sfacciata fierezza femminile.
7. Sofia Kourtesis, Madres (Ninja Tune)
Alla DJ e produttrice di origine peruviana residente a Berlino è occorso un decennio abbondante per affrontare la misura dell’album. Dedicato alla madre e alla sua malattia, è un disco intenso che ondeggia fra house da Berghain ed echi della tradizione afrolatina: il migliore dell’anno fra quelli gravitanti nell’orbita del clubbing.
8. Lankum. False Lankum (Rough Trade)
Quarto lavoro del quartetto di Dublino, in apparenza riconducibile all’ambito folk, nel quale tuttavia agisce con intenzioni gotiche: la sensazione è così di una reincarnazione dei classici Pentangle o Steeleye Span in viaggio verso il cuore di tenebra dei nostri giorni, come a volte sanno fare gli Swans o potrebbero – staccando la spina – i Sunn O))).
9. Daniela Pes, Spira (Tanca)
La targa Tenco da “opera prima” più improbabile di sempre, per via dei testi esposti in un patois creato mescolando dialetto gallurese, neologismi e schegge di lingua italiana. Evidente l’analogia con il corregionale Iosonouncane, produttore del disco e principale responsabile dell’habitat sonoro: affinità percepibile in particolare dal vivo.
10. Yo La Tengo, This Stupid World (Matador)
Istituzione indiscussa dell’indie rock statunitense, alla vigilia del quarantennale il trio del New Jersey centra una delle sue migliori prestazioni discografiche. Raffinato ed essenziale, l’album alterna inquietudine e ironia con ammirevole disinvoltura, ricordandoci en passant che “questo mondo stupido è tutto ciò che abbiamo”.