Pigmalione nell’Arcadia polesana
Al Teatro Sociale di Rovigo dopo oltre 300 anni torna in scena Pigmalione di Giovanni Alberto Ristori composto per il Teatro Manfredini del capoluogo polesano
Di Rovigo si parla sempre troppo poco nelle cronache musicali. Eppure la nostrana “terra fra i due fiumi” vanta un’antica e vivacissima attività teatrale, come ha recentemente documentato una preziosa mostra dedicata ai teatri storici del Polesine a Palazzo Roncale, nel capoluogo polesano. La testimonianza più recente è la prima ripresa in tempi moderni del Pigmalione, dramma in musica di Giovanni Alberto Ristori su libretto di Francesco Passarini “consacrato alla grandezza di sua eccellenza Girolamo Trevisan”, all’epoca podestà della città in rappresentanza del governo della Serenissima e prossimo alla partenza.
Nato probabilmente a Vienna nel 1693 da una coppia di attori di una compagnia di giro, Giovanni Alberto Ristori ha alle spalle un Pallade trionfante in Arcadia a Padova nel 1713 e un Orlando furioso al Teatro Sant’Angelo di Venezia, un successo che induce l’impresario Antonio Vivaldi a utilizzarne alcune parti nella sua versione dell’opera. Sull’onda di quel successo veneziano, il Conte Manfredini commissiona al ventunenne Ristori il Pigmalione per il suo teatro di Rovigo, uno dei due teatri attivi in città, l’altro è il Teatro Campagnella, manifestazione evidente di una certa vivacità culturale all’epoca. “In soli sedici giorni, si è posto in ordine questo Drama, nel quale si come al tuo solito havrai da compatire le mie debolezze (come ti prego) così avrai da ammirare la virtuosa idea del Sig Giovanni Alberto Restori, che l’ha musicato in tempo così ristretto” scrive il librettista Passarini nella prefazione all’opera, che va in scena nei giorni della Fiera dell’Autunno, il 16 ottobre 1714. Poi, di questo lavoro non si ha più traccia, ma resta fra le partiture che il compositore porta con sé nelle sue lunghe peregrinazioni artistiche in terra tedesca e polacca.
L’intreccio si ispira al mito classico di Pigmalione raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi. Nel libretto di Passarini, tuttavia, il dramma lascia il posto alla commedia di colore pastorale. Lo scultore Pigmalione, è infatti conteso dalle due ninfe Eburnea e Isifile, ma l’uomo sembra solo “invaghito di una statua di avorio”, scolpita da lui stesso. Il capriccio amoroso delle ninfe provoca la gelosia del languido Laurindo, che però resta fedele alla sua amante Isifile, e del rancoroso Elviro, che invece giura di vendicarsi di Eburnea. Contravvenendo all’epilogo del mito, sarà Eburnea a conquistare il cuore di Pigmalione (nomen omen…) abbattendo la statua e fingendosi ella stessa la statua che ha preso vita, con buona pace della verosimiglianza drammaturgica che non è il punto forte del libretto di Passarini.
Nello spettacolo, il regista Federico Bortolani inserisce anche alcuni interventi del Podestà Girolamo Trevisan (l’attore Giulio Canestrelli) che, da un palchetto di proscenio, introduce gli spettatori allo spettacolo e duetta spiritosamente con gli artefici dello spettacolo, dichiarandosi perdutamente innamorato dell’interprete di Isifile che, immaginiamo, non avrà coronamento dovendo il funzionario rientrare nella capitale Venezia. Una certa ironica leggerezza è anche la chiave scelta per una messa in scena che visivamente ripropone una luminosa Arcadia fatta di fondali di nuvolette tiepolesche e quinte mobili di verzura reinventate con gusto barocco dallo scenografo Matteo Corsi, cui si aggiungono i floreali costumi di Eleonora Nascimbeni, entrambi vincitori del primo concorso intitolato a Gabbris Ferrari, nume tutelare degli allestimenti del teatro rodigino.
La partitura, pazientemente trascritta da Bernardo Ticci da un manoscritto molto danneggiato con la revisione drammaturgica di Marco Schiavon, è affidata alla competente esecuzione dell’Arte dell’Arco su strumenti originali con l’ariosa direzione del fondatore e storico “Konzertmeister” Federico Guglielmo, che imbraccia il violino per accompagnare alcune delle elaborate arie di Ristori. La compagnia di canto è affiatata ma con qualche punto debole, specie nella tracotante magniloquenza del Pigmalione di Bruno Taddia e nell’esangue e incerta emissione del Laurindo di Antonio Giovannini. Ottimi sia vocalmente che scenicamente, invece, la frizzante Eburnea di Silvia Frigato, il mordace Elviro di Nicolò Balducci e la delicata (ma spiritosa) Isifile di Marina De Liso.
Pubblico purtroppo scarso nonostante l’indubbio interesse del recupero di lavoro legato alla storia locale. Caldi applausi per tutti.
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