E’ di scena Giulio Cesare
A Jesi la prima assoluta di De bello gallico di Nicola Campogrande
Il battesimo di un’opera nuova di zecca è sempre qualcosa di emozionante, sia per la curiosità e l’aspettativa che precedono la messa in scena sia perché dimostrazione della vivacità e prolificità, oggi, del teatro musicale.
Un bell’esempio ne è De bello gallico di Nicola Campogrande, composto nel 2016 (da una idea del cantante Elio), e messo in scena in prima assoluta pochi giorni fa al Teatro “G.B. Pergolesi” di Jesi nell’ambito della stagione lirica di tradizione; un plauso va al direttore artistico della Fondazione Pergolesi Spontini, il compositore Cristian Carrara, che negli ultimi anni ha dimostrato grande sensibilità nel dare spazio ai propri colleghi, come nel 2022 con Delitto all’isola delle capre di Marco Taralli, anch’essa in prima assoluta, o con Notte per me luminosa di Marco Betta, rappresentata nel 2021 insieme a tanto altro Novecento (Rota, Wolf Ferrari, Menotti, Bartòk, Piazzolla, Stravinsky). Scelte queste tutt’altro che scontate anche per teatri più ricchi di risorse rispetto a quello di Jesi.
Dunque un’opera incentrata sulla figura di Gaio Giulio Cesare, il primo uomo a conquistare terre sconfinate sottomettendo interi popoli, e padre di tutti i dittatori futuri. Cesare che fin dalle origini dell’opera ha affascinato librettisti e operisti, a partire dal 1600 con i vari Cesti e Cavalli fino al Giulio Cesare di Malipiero, attraverso il capolavoro di Händel ma anche le opere di Sarti, Piccinni, Zingarelli, Salieri, per non citare che i più noti.
In questa nuova opera, su libretto di Piero Bodrato (con cui il fecondissimo Campogrande ha concepito anche altri titoli: Opera italiana del 2010, Folon del 2017 e La notte di san Nicola del 2020) Cesare è rappresentato in chiave eroicomica: viene quindi rispettato il format dell’opera buffa, in due atti, con recitativi, arie, cori, duetti e concertati, dove non mancano però momenti di riflessione drammatica sugli orrori di tutte le guerre espressi con immagini anche forti; molti i riferimenti ai “popoli stuprati dalla storia” e umiliati dagli invasori, al deserto e alla distruzione in nome di quella che viene chiamata “pace”, che rimandano alla tragica attualità. Per il resto il libretto è divertentissimo, tutto un tripudio di trovate, doppi sensi, citazioni colte, miscugli di latino e italiano, assonanze, nel rispetto della metrica operistica classica in endecasillabi e settenari con giochi musicali di rime interne e allitterazioni.
Il protagonista è naturalmente Cesare, voce di baritono, parte vocalmente impegnativa anche perché largamente declamata e sempre in scena e che Giacomo Medici ha reso con bravura sia per qualità vocale che per padronanza del palcoscenico; Cesare è personaggio per così dire doppio, perché presentato così come ce lo tramanda la storia, condottiero e uomo politico spregiudicato - e qui si esprime in terza persona, proprio come nei Commentarii - ma anche nella sua variegata natura umana, vanitoso, diffidente, nevrotico e vittima di pesanti mal di testa. Accanto a lui Aulo Irzio, lo scrivano a cui detta i dispacci militari da inviare al senato e che andranno a costituire i Commentarii de bello gallico da cui è liberamente tratto il libretto: è il tenore Oronzo D’Urso, in maglioncino con scollo a V e occhiali da vista, da perfetto segretario, a sostenere questa parte, che ha una tessitura particolarmente acuta. Nel secondo atto D’Urso ha interpretato invece Vercingetorige, con il classico elmo alato e i lunghi capelli biondi, e in occhiali da sole: icona un po’ romantica della resistenza, eroe che emerge dopo la sconfitta e l’oppressione dei Galli e che li guiderà con coraggio contro gli oppressori, Vercingetorige ha invece vocalità più corposa, da tenore eroico. Poi il coro maschile, (interpretato dal Coro Universitario del Collegio Ghislieri preparato da Luca Colombo) trattato anche a cappella, che impersonava di volta in volta i legionari, militari fedeli, disciplinati ed organizzati, in grado di costruire in una sola notte un accampamento, e il popolo dei Galli sconfitti e calpestati da Cesare. Non poteva poi mancare nell’opera una voce femminile, un soprano di coloratura (Nikoletta Hertsak) con una parte in diversi momenti virtuosistica che impersonava la Figura Allegorica: personaggio multiforme che movimenta la scena e che si presenta, a seconda delle occasioni, come la “Gloria”, a cui Cesare ambisce, oppure, con un repentino cambio di costume, come “Fortuna”, che cade ora nelle sue braccia ora in quelle di Vercingetorige, e a cui spesso Cesare nei Commentarii attribuisce il merito della vittoria, oppure come “Roma”, con il suo “brand” S.P.Q.R. destinato a fare storia.
Come il libretto si presenta ricco e intrigante, così la musica è complessa, mai banale; l’orchestrazione, a tredici parti, è ricca di impasti timbrici, con uso spiccato degli ottoni e delle percussioni, ma anche dell’arpa. Emergono diversi registri linguistici: profili melodici che si stagliano sul declamato vocale e che vanno a delineare vere e proprie arie, o duetti come quello, bellissimo, tra Cesare e Vercingetorige che si rimpallano i versi “moriám da eroi/moriám da coglioni”; in alcuni casi si avvertono incursioni nel linguaggio della pop music e del jazz, sia per lo stile del melos, sia per l’uso marcato di sincopi e contrattempi e del basso elettrico. Il gruppo strumentale era il Time machine ensemble, diretto da Giulio Prandi, che ha lavorato in modo approfondito sulla complessa partitura, rendendone al meglio le finezze.
Buona la sinergia anche tra gli autori e il regista, Tommaso Franchin, che ha cavalcato il tono leggero e giocoso, pur nella narrazione di avvenimenti sanguinosi, suggerito dal libretto e dalla musica: la guerra come un match di pugilato, il dittatore e i suoi legionari come dei campioni sul ring in guantoni e accappatoio, e la scena come una tribuna girevole tappezzata di manifesti e volantini da cui assistere alla sfida; Cesare seduto in alto, su una sedia da arbitro, a decidere sui destini umani. Scene e costumi sono stati affidati a Daniel Mall e Gabriele Adamo, i due studenti che hanno ottenuto una scrittura artistica in questa produzione in quanto vincitori della III edizione del Concorso dedicato a Josef Svoboda e intitolato “Progettazione di Allestimento scene e costumi di Teatro Musicale”. Il concorso è riservato agli iscritti al Biennio di Specializzazione in Scenografia delle Accademie di Belle Arti di Macerata, Bologna, Venezia e Carrara ed è una nuova modalità per valorizzare giovani creativi che possono vedere realizzato il proprio progetto. Le luci erano di Marco Scattolini.
Il pubblico, numeroso, ha molto apprezzato l’opera ed ha applaudito a lungo gli autori e gli interpreti; la replica di domenica 26 novembre era accessibile anche a non vedenti e non udenti.
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