La 44a edizione di Bergamo Jazz Festival, organizzata da Fondazione Teatro Donizetti con Comune di Bergamo e quest’anno inserita nel quadro dei principali eventi di “Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023”, si svolgerà da giovedì 23 a domenica 26 marzo con un programma ricco di artisti internazionali, ospiti del Teatro Donizetti, con le tre consuete serate in abbonamento (dal 24 al 26 marzo), del Teatro Sociale (nella sera del 23 e nel pomeriggio del 26) e di altri luoghi della città quali musei, chiese, locali trasformati in accoglienti jazz club. Ampio rilievo sarà dato anche al jazz nazionale, tra musicisti ampiamente affermati e giovani talenti, alla didattica e all’incontro con altre arti.
Tra i nomi che possiamo trovare sparpagliati nel ricco cartellone del festival ricordiamo, tra gli altri, Cécil McLorin Salvant, Paolo Fresu e Rita Marcotulli, Hamid Drake con Shabaka Hutchings, Lakecia Benjamin, Richard Galliano, Richard Bona, Amaro Freitas, Nik Bärtsch, Django Bates, David Linx, Joey Baron, Ernst Reijseger.
Un programma che appare come un caleidoscopio variegato e multiforme, dove si miscelano nel respiro temporale di alcuni giorni, i differenti orizzonti rappresentati dall'attuale panorama jazz, ulteriormente ravvivato dalle spinte vitali che sgorgano dalle nuove generazioni. Un programma musicalmente variopinto, a proposito del quale abbiamo posto qualche domanda alla direttrice artistica Maria Pia De Vito, da qualche anno alla guida di Bergamo Jazz.
Ripensando alle edizioni di Bergamo Jazz da lei guidate mi pare di poter rilevare il segno di una sorta di indagine rivolta alle differenti declinazioni che abitano il panorama jazz contemporaneo: quali sono secondo lei i caratteri principali dell’orizzonte musicale attuale?
«In effetti, le mie programmazioni per Bergamo Jazz – ma anche l’esperienza precedente con il Ravello Festival – hanno avuto una impostazione stilisticamente ampia, ricollegandomi a quello che da sempre è la natura internazionale dello stesso festival. Ma questa impostazione corrisponde non tanto all’idea, peraltro irrealizzabile, di dare una visione sulla contemporaneità tutta. Sono una musicista, non una storica del jazz. Le mie scelte sono dunque lo specchio dei miei interessi e dei miei amori musicali, secondo una linea facilmente rintracciabile nelle mie produzioni in 40 anni di musica. Ho sempre un po’ sfidato “compartimenti stagni” o pareti invisibili che proprio l’amore per una pratica musicale così potente come il jazz, dalla tradizione afroamericana alle sue ramificazioni anche lontane, spesso produce negli appassionati. La mia è una dispendiosa quanto felice “condanna” alla fedeltà al mio immaginario musicale interiore, che ha bisogno di stupirsi. Amo la pratica del jazz proprio perché, per rimanere fedele al suo statuto di nascita, questa musica è destinata a evolversi e ad ampliarsi costantemente. E quindi a sorprendere ancora. Detto ciò i caratteri dell’orizzonte musicale attuale sono molteplici e per molti versi imprevedibili. Tanti mostri sacri sono ahimè scomparsi e la velocità delle trasformazioni imposte dalla nostra società liquida e telematica sta creando tanti cortocircuiti. Non dimentichiamo che non viviamo separati dalla storia: la pandemia e l’attuale guerra con la relativa crisi economica stanno creando delle pressioni di mercato notevoli e il grande pubblico preme verso un consolatorio ascoltare di ciò che è già conosciuto, a discapito delle forme di ricerca. Mi auguro che la richiesta di grandi numeri non continui a premiare solo le forme più mainstream o esclusivamente forme che poggiano su fenomeni dai numeri di massa».
«Amo la pratica del jazz proprio perché, per rimanere fedele al suo statuto di nascita, questa musica è destinata a evolversi e ad ampliarsi costantemente».
Oltre a essere direttrice artistica di Bergamo Jazz lei è anche affermata interprete e autrice: quali sono le principali differenze tra il ruolo manageriale e quello creativo-interpretativo?
«Il lavoro di programmazione a Bergamo è davvero solo un lavoro da direzione artistica; per mia fortuna c’è una squadra al lavoro notevolissima, con Roberto Valentino in testa, la cui pluridecennale esperienza di collaborazione con il festival è una garanzia. Con queste premesse l’immaginare il programma come una grande partitura è interessante e bello. Certo, bisogna tenere presente la realtà degli spazi disponibili e pensare anche da “manager” cosa, per esempio, possa essere presentato ad un Teatro Donizetti, con una capienza di più di mille posti, e cosa possa andare bene per l’Accademia Carrara, che è un museo d’arte pieno di opere meravigliose e delicate. Tutto, ciò, però, non mi disturba. Altra cosa è trovarsi, in altri contesti, a dover pensare a tutto, ma proprio a tutto, dalla programmazione alle spese per gli alberghi. Il lavoro da musicista è tutt’altro e per me vive nell’ombra, nel silenzio, nelle letture, che spesso mi stimolano a comporre musica, più ancora che negli ascolti. Come è capitato con l’ultimo progetto, This Woman’s Work, ispirato dalla lettura di un magnifico saggio di Rebecca Solnit. Progettare su un filo concettuale è un compito interiore che prevede il saper attendere, nell’aspettare che fiorisca un’intuizione, una composizione, un testo poetico, e poi nel mettere alla prova le mie idee insieme ai musicisti che scelgo con molta attenzione».
Pensando al programma che prenderà il via nei prossimi giorni, qual è il filo conduttore che attraversa il cartellone della 44ma edizione di Bergamo Jazz?
«Ho intitolato la presentazione del programma di quest’anno “Ancestrale/Spirituale”: il jazz è una forma d’arte profondamente spirituale in sé. La pratica dell’improvvisazione è vicina alla meditazione, singola e collettiva: richiede il lasciare la guida al subconscio, in un flusso che è per l’esecutore irriproducibile, un agire che “abbandona il campo della ‘rappresentazione’ per divenire ‘esperienza’” come direbbe Deleuze. Il jazz, sia esso più vicino alla tradizione che alle forme più aperte ed improvvisate, espone il musicista e l’ascoltatore ad una esperienza trasformativa. Il fil rouge di quest’anno, dunque, è il lavoro di musicisti che lavorano sulle proprie radici spirituali, come Amaro Freitas o come Nick Bartsch. Oppure il lavoro di Hamid Drake su Alice Coltrane o il progetto di Ernst Reijseger con Mola Sylla. E poi il piano solo di Django Bates, quanto di più laico e dissacrante possa esistere nella vita quotidiana, ma il rigore e la fedeltà alla propria visione che applica sia nello scrivere per orchestra sinfonica che nel lavoro su Charlie Parker o con Human Chain, è per me un’esperienza elevante, esilarante e serissima al tempo stesso. Cosa di più ancestrale del canto? La voce e la phonè hanno ovviamente un posto speciale nei miei interessi da sempre. Quindi, ancora voci a Bergamo Jazz 2023: Cécile McLorin Salvant, David Linx, Layla Martial… o la vocalità africana di Richard Bona e Mola Sylla».
Nel vostro cartellone è presente anche “Scintille di Jazz”, un’oasi della programmazione curata da Tino Tracanna pensata per valorizzare i talenti emergenti: come descriverebbe le attitudini che caratterizzano maggiormente le giovani generazioni?
«La sezione curata da Tracanna è molto importante: in questi anni Tino ha fatto scelte molto intelligenti, tanti musicisti passati da lì ora sono pienamente visibili e inseriti nella scena nazionale e internazionale. Questa è un’epoca di continue trasformazioni e, con il web, di modelli musicali di ogni genere alla portata di tutti. Io stessa scopro ogni minuto qualche nuovo “mostro” giovanissimo e superskilled… I giovani musicisti che emergono in questo momento sono dotatissimi da un punto di vista tecnico e spesso anche da un punto di vista progettuale; il che è fantastico. Noto, oggi, una grandissima attenzione alla scrittura e al senso della coralità, del collettivo, piuttosto che all’espressione solistica o solipsistica del singolo. E questo mi pare cosa buona».
«I giovani musicisti che emergono in questo momento sono dotatissimi da un punto di vista tecnico e spesso anche da un punto di vista progettuale; il che è fantastico».
Partendo dalla sua esperienza e dal suo osservatorio di artista affermata che si trova inoltre alla guida un festival ormai storico, quale suggerimento darebbe ad un giovane che si affaccia al mondo del jazz?
«Di leggere tanto, poesia e letteratura, di interessarsi ad ogni forma d’arte, di far crescere costantemente i propri riferimenti culturali, per far fiorire una propria poetica profonda, sviluppare una propria visione…per questo ci vuole tempo, pazienza e…resistenza alle frustrazioni! Gli suggerirei anche di pensare internazionale, di guardarsi intorno viaggiando, cercando da vicino incontri ed esperienze che lo portino al di là delle “confort zone”. E a questo proposito, gli direi di mollare per quante più ore al giorno possibili smartphone e social media, che usati male ipnotizzano e nevrotizzano assai! Parafrasando Pascal: tutta l’infelicità dell’artista sta nel non saper restare quieti in una stanza. Ecco, bisogna proprio cercarlo quel tempo di quiete, senza stimoli “incorporei“ continui. E poi, andare fuori ad ascoltare concerti ed incontrare artisti!».
Per informazioni sulla 44ma edizione di Bergamo Jazz: www.teatrodonizetti.it.