I dubbi di Faust
Magnifica edizione del Doktor Faust di Ferruccio Busoni al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino con Cornelius Meister sul podio e Davide Livermore alla regìa
Musica e messinscena eccellenti nella Sala Grande del teatro fiorentino per il tormentato capolavoro che Ferruccio Busoni non fece in tempo a finire, morendo nel 1924 (l’opera fu completata dall’allievo Philipp Jarnach), lasciandone però già più che saldamente fissati i dati musicali e drammaturgici. E allora partiamo proprio dalla musica, perché questa difficile partitura ha trovato un’esecuzione magistrale che promanava dal podio, l’eccellente Cornelius Meister, e si propagava alla non meno eccellente prestazione dell’orchestra del Maggio, con una levigatezza, un’ariosità e una felicità esecutiva – da estendere anche agli interventi del coro - sorprendenti per una partitura tanto rara e complessa. Ne è venuto fuori un ritratto bellissimo del Busoni compositore, che fin dal preludio sta tra la “tedesca” ricchezza delle trame e degli orditi della scrittura, e l’italiana (diciamo italiana per approssimazione: certe invenzioni sembrano più vicine a un Janacek o a un Sibelius) luminosa pregnanza di linee orizzontali che possiamo chiamare melodie. Una visione che potremmo definire frutto di un neoclassicismo sui generis, molto distante dalle riappropriazioni oggettive o nostalgiche o parodiche di altri compositori in quell’epoca, e sorretta da un’eccezionale capacità evocativa anche nell’invenzione armonica e timbrica, in un equilibrio molto accorto di ricerche formali che allora poteva sembrare superato alle “avanguardie”, ma che oggi risulta fertile per tanta musica narrante e immaginifica che poi è venuta nel ‘900 e oltre.
La drammaturgia si rifà ai Faust non goethiani, in particolare alle riduzioni della leggenda per il teatro di marionette (da cui peraltro anche Goethe era stato influenzato avendole viste da bambino) e da Christopher Marlowe (ma non è da escludere che Busoni potesse aver presente nel prologo parlato, qui un mix di voci molto persuasivo, la prima versione del Mefistofele di Boito. in cui si ripropongono le vicissitudini artistiche e le interpretazioni del mito di Faust). La messinscena di Davide Livermore (scene di Giò Forma, costumi di Mariana Fracasso, luci di Fiammetta Baldiserri, video del gruppo D-Wok) era tutta orientata a mettere in risalto le sfaccettature di questo Faust busoniano che sta tra il vitalismo di Marlowe, qui espresso dalla presenza di un satiro figurante, e le perpetue oscillazioni fra illusione e disillusione che del personaggio sono la sostanza, in una gestualità intensa e sorvegliata, e il gioco registico, con il suo apparato di maschere e doppi, riconduceva tutto alla volontà, alle colpe e alla responsabilità di un Faust-Busoni in perpetua ricerca del proprio sé, umano e artistico. La scena plastica e geometrica si scaldava di ben riuscite invenzioni video: fuoco, ombre infernali, minacce, evocazioni amorose, reinvenzioni pittoriche di iconografie rinascimentali, la toccante visione di Elena crocifissa. Molto bene anche il palcoscenico che si avvaleva di un Faust molto convincente vocalmente e scenicamente, Dietrich Henschel, e di un bel cast preparato con cura, in cui vogliamo segnalare almeno la stupenda e toccante duchessa di Parma di Olga Bezsmertna.
Questa bella proposta del Teatro del Maggio non ha però incontrato il gradimento del pubblico, che scarseggiava nella cavea (più gente in galleria, invece) e non c’è che da augurarsi che nelle repliche dell’11 (alle 18), 14 e 21 febbraio (alle 20, la recita del 14 sarà trasmessa su Radio3) il tam tam sulla validità dello spettacolo, subito sbocciato sui social, dia i suoi frutti.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.