Quel bel pasticcio fantascientifico di Vivaldi
Successo per l’efficace Tamerlano con la direzione di Ottavio Dantone e la regia di Stefano Monti
Che l’operazione fosse nata sotto i migliori auspici era intuibile fin dalle dichiarazioni di intenti che Ottavio Dantone e Stefano Monti avevano condiviso in vista del debutto ravennate di questa nuova produzione de Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet. Ma, naturalmente, è sempre la prova del palcoscenico che restituisce la bontà di un’iniziativa come quella proposta da questo nuovo allestimento generato da una coproduzione che ha visto impegnati il Teatro Alighieri – Ravenna Manifestazioni, la Fondazione Teatri di Piacenza, la Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, la Fondazione Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena e l’Azienda Teatro del Giglio di Lucca.
Intercettata da chi scrive al teatro Valli di Reggio Emilia in occasione della recita di domenica scorsa, questa tragedia per musica in tre atti su libretto di Agostino Piovena e musica di Antonio Vivaldi ha trovato in questa proposta una chiave interpretativa palesemente efficace, scaturita dall’originale equilibrio tra la lettura musicale offerta da Dantone alla guida di un’Accademia Bizantina in gran spolvero, e il tratteggio drammaturgico immaginato da regia, scene e costumi di Monti (luci Eva Bruno, contenuti video 3D Cristina Ducci, pittura su tela Rinaldo Rinaldi e Maria Grazia Cervetti, illustrazioni Lamberto Azzariti, sculture Vincenzo Balena).
Sul versante musicale il carattere di “pasticcio” che connota quest’opera – che ha debuttato al Teatro Filarmonico di Verona nel 1735 in quella stagione di Carnevale che ha visto il compositore veneziano impegnato anche nella produzione di una seconda opera, l’Adelaide su libretto di Antonio Salvi – è stato valorizzato dalla lettura proposta da Dantone, basata sull’edizione critica di Bernardo Ticci con variazioni operate dallo stesso direttore e capace di evidenziare non solo le specificità dei brani dello stesso Vivaldi – che si è tenuto per sé i personaggi positivi come Bajazet e Asteria, regalando pagine particolarmente ispirate anche al ruolo di Idaspe – ma anche la varietà di scrittura della dozzina di arie tratte da lavori di altri compositori quali Hasse, Giacomelli e Riccardo Broschi.
Un carattere che ha attraversato i tre atti di questo lavoro con una vivacità trascinante, complice l’efficace reattività e la brillante pasta timbrica dell’ensemble orchestrale (posto in platea al livello del pubblico) da un lato e dall’altro una compagine vocale decisamente affiatata. In questo quadro sono emersi con felice tratto interpretativo in particolare il Tamerlano di Filippo Mineccia, l’Asteria di Delphine Galou – solida nella concitata aria “Svena, uccidi, abbatti, atterra” – e l’Idaspe di Arianna Vendittelli, quest’ultima convincente nella virtuosistica aria di tempesta “Anche il mar”. Completavano con presenza efficace il cast vocale Marie Lys (Irene), Federico Fiorio (Andronico) e Bruno Taddia (Bajazet).
Dal punto di vista scenico i luoghi originari – il palazzo reale di Bursa, capitale della Bitinia occupata da Tamerlano dopo la vittoria sui Turchi del primo atto, la tenda del protagonista e il campo di battaglia del secondo atto, il giardino sulle rive dell’Eufrate e la sala del banchetto di Tamerlano del terzo atto – sono stati sciolti in uno spazio cupo e senza tempo, abitato da proiezioni e immagini la cui cifra astratta rafforzava quella lettura simbolica e astorica che Monti ha inteso plasmare. In questo senso il grande monolite kubrickiano presente in scena è parso al tempo stesso testimone immanente e spazio mobile sul quale si spostavano i personaggi, ritornando alla fine nella posizione incombente dalla quale ha osservato l’avvio della vicenda. Una sorta di narrazione senza storia, nella quale i desideri e le gelosie incrociate dei protagonisti si sono rincorsi tra arie e recitativi in un’atmosfera che rimandava a uno spazio ideale sospeso tra passato e futuro e che pareva tratto da un immaginario vagamente fantascientifico capace di miscelare liberamente il clima di pellicole come gli ultimi e più cupi episodi di Star Wars, o come Mad Max e Blade Runner (quello di Ridley Scott, con Daryl Hannah nei panni di Pris inquietantemente truccata come uno dei giocattoli robotici di J. F. Sebastian).
Un quadro al tempo stesso fluido e funzionale, arricchito da una specie di duplicazione dei personaggi realizzata grazie alla presenza di alter ego danzanti, sorta di ombre ideali dei protagonisti chiamate a illustrare i diversi momenti espressivi con movimenti di street dance e incarnate con bell’impegno dai componenti della DaCru Dance Company (coreografie Marisa Ragazzo e Omid Ighani).
Convinti gli applausi rivolti da parte del pubblico presente a tutti gli artisti impegnati, sia a scena aperta sia in conclusione di una serata suggellata dalla ripresa della chiusa corale, scandita da un battimano collettivo che ha regalato un tocco “pop” al congedo finale.
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