Un “Falstaff” shakespeariano apre la stagione del Teatro La Fenice

Successo per l’opera verdiana diretta da Myung-Whun Chung con un formidabile Nicola Alaimo protagonista ma delude la regia di Adrian Noble

Falstaff (foto Michele Crosera)
Falstaff (foto Michele Crosera)
Recensione
classica
Venezia, Teatro La Fenice
Falstaff
18 Novembre 2022 - 26 Novembre 2022

Apre con il sorriso la nuova stagione del Teatro La Fenice. Certamente per l’indiscutibile successo riscosso alla prima da parte di un pubblico da occasioni speciali, ma soprattutto perché nel teatro veneziano la stagione si apre all’insegna della commedia, l’unica, se si esclude lo sfortunato esperimento giovanile di Un giorno di regno, frutto della splendida vecchiaia di un Verdi ispiratissimo malgrado “la cifra enorme de’ suoi anni” all’epoca della composizione.

Opera non certo rara ma nemmeno frequentissima sul palcoscenico della Fenice (l’ultima edizione fu nella prima stagione al Palafenice a macerie del teatro ancora fumanti e prima ancora nel 1980), questo nuovo Falstaff ritrova sul podio il coreano Myung-Whun Chung, che aggiunge l’ultima gemma al suo già relativamente lungo curriculum verdiano nel teatro veneziano e un significativo debutto alla sua lunga carriera, non avendo mai diretto quest’opera in una versione scenica. Chung ci arriva dopo un lungo percorso di avvicinamento, iniziato quarant’anni fa come assistente di Carlo Maria Giulini a Los Angeles, e, si direbbe, una riflessione che si traduce in una lettura di esemplare limpidezza e di accattivante bellezza di suono, frutto dell’intesa perfetta con l’Orchestra del Teatro La Fenice, in stato di grazia come sempre quando sul loro podio sale il direttore coreano. Pregio maggiore della sua direzione è soprattutto l’attenzione alla parola e il suo intreccio con il suono orchestrale, fondamentale specialmente in questa partitura verdiana dove ogni nota sembra scaturire dai versi di Arrigo Boito spiritosi ed esagerati come il protagonista e la sua pancia “terribile e tronfia”.

Falstaff (foto Michele Crosera)
Falstaff (foto Michele Crosera)

“Physique du rôle” naturale a parte e forte di un curriculum con già un centinaio di Falstaff all’attivo, Nicola Alaimo è un protagonista perfettamente intonato agli umori mutevoli del personaggio – tronfio, collerico, malizioso, seduttore per convenienza e, in fondo in fondo, saggio (è lui infatti il primo a trarre la morale “Tutto nel mondo è burla” nella geniale fuga del finale) – e il migliore in campo nel dare corpo musicale alla parola, in questo in perfetta sintonia con la direzione di Chung. Tutti gli altri, comunque, danno prova di grande affiatamento e di divertimento. Godibilissimo è il Ford di Vladimir Stoyanov, un maestro nel lavoro di sottrazione e di rara eleganza nel fraseggio, e divertentissimo nel duetto con l’inconsapevole Falstaff. Ben equilibrato il trio delle allegre comari di Windsor con Selene Zanetti, brava a condurre il gioco come Alice Ford, Veronica Simeoni, una Meg Page di carattere, e Sara Mingardo, una Quickly fin troppo misurata. Corretti ma con poca passione i due giovani innamorati Fenton e Nannetta, ossia René Barbera e Caterina Sala, che riesce a convincere di più come Regina delle fate nella tregenda del sottofinale. Spassosa la coppia dei due sfrontati servitori Bardolfo e Pistola, Cristiano Olivieri e Francesco Milanese, così come il Cajus parodistico ma con giudizio di Christian Collia.

Falstaff (foto Michele Crosera)
Falstaff (foto Michele Crosera)

Delude un po’, invece, l’allestimento, di gusto vecchiotto, firmato dal shakespeariano doc Adrian Noble con costumi d’epoca shakespeariana di Clancy e scena shakespeariana di Dick Bird, che riprende le architetture lignee del Globe. Funziona bene il primo quadro nella stanza di Falstaff all’Osteria della Giarrettiera ma poi vince un certo gusto dell’accumulo già nel secondo quadro con le trame delle comari su sfondo di graziosa pantomima shakespeariana (con lo stesso Shakespeare regista) ispirata al Midsummer’s Night Dream, che allude già al finale, risolto invece con un sovraccarico di presenze, luminarie e totem africani attorno alla quercia di Herne, ridotta a ceppo infertile. La cura del gesto scenico è comunque apprezzabile e, gusto a parte, lo spettacolo funziona come deve.

Come detto, un successo con applausi calorosi per tutti. Falstaff funziona sempre.

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