Se Tannhäuser è un alcolista
La regia di Schmiedleitner immerge in una sorta di grottesca decadenza il Tannhäuser musicalmente efficace di Bosch
In questa nuova produzione di Tannhäuser, realizzata da una cordata che ha compreso realtà quali Opernfestspiele Heidenheim OH!, Fondazione Teatro Comunale di Modena e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, l’opera wagneriana è stata immersa dalla regia di Georg Schmiedleitner in una sorta di mondo multicolore volutamente decadente, sciatto e a tratti squallido – il motel iniziale, per esempio – dove la vicenda del cavaliere cantore ha ripercorso la sua parabola in bilico tra l’amore carnale e la tensione spirituale.
Un dato sottolineato anche dalla caratterizzazione dei personaggi, a partire da un protagonista la cui recitazione pareva raccontare di un uomo il quale, più che in balìa di profondi dissidi interiori, pareva piuttosto alle prese con gli effetti dovuti all’abbondante alcol circolante sulla scena.
Un carattere assecondato anche dai costumi di Cornelia Kraske e dalle scene di Stefan Brandtmayr, a cominciare dal Venusberg, qui trasformato appunto in una sorta di motel dove si consumano le orge un poco sgangherate sullo sfondo delle quali si staglia il conflitto tra un Tannhäuser più stanco che pentito per il suo isolamento lussurioso e una Venere insofferente, più impegnata a tenere assieme i suoi traffici di maîtresse stracciona che travolta da furiosa gelosia.
In questo quadro, la sala dei bardi del castello della Wartburg diviene una sorta di festa di cortile, sul cui palcoscenico si alternato in tenzone canora ora i più o meno seriosi cantori, ora un protagonista palesemente sempre più brillo. Una narrazione che, sul filo di un piano inclinato drammaturgico che dal grottesco vira gradualmente al tragico, ci conduce alla progressiva decadenza di Tannhäuser, fino all’inutile redenzione finale trasfigurata attraverso la morte di Elisabeth, qui più amante repressa che simbolo di amore spirituale e angelicato.
In tutto questo non sono stati tanto i travestimenti, i costumi da bagno dai colori vivaci, le pose sguaiate e la fluidità di genere sparpagliata qua e là a convincere poco, piuttosto un andamento drammaturgico che, se da un lato ha saputo non risultare noioso, dall’altro di quando in quando è parso sopra le righe rispetto a una logica narrativa riconducibile ai caratteri di fondo dell’opera di Wagner.
Su questo sfondo la direzione di Marcus Bosch ha saputo tenere assieme in maniera sostanzialmente equilibrata il denso carattere del discorso musicale wagneriano, serrando i ranghi di un’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini dal tessuto strumentale nel complesso adeguatamente reattivo, valorizzando la buona prova della compagine corale – il Czech Philharmonic Choir di Brno – e gestendo con consapevole efficacia un ensemble vocale bene assortito, che ha trovato in James Kee un Tannhäuser solido ed espressivo, così come il Wolfram di Birger Radde, forse solo leggermente affaticato alla fine, affiancati dalle protagoniste femminili incarnate da Heike Wessels, una Venus un poco discontinua, e da Leah Gordon nei panni di una Elisabeth nel complesso ben a fuoco. Completavano il cast le buone prove di Tijl Faveyts (Hermann), Martin Mairinger (Walther), Young Kwon (Biterolf), Christian Sturm (Heinrich) e Gerrit Illenberger (Reinmar). Da segnalare anche il bel cameo di Julia Duscher nei panni del pastorello che accoglie il protagonista fuggito dal Venusberg al centro del primo atto.
Il pubblico presente alla “prima” che ha inaugurato la stagione operistica del Teatro Valli di Reggio Emilia – significativamente abitato da diversi gruppi di giovani – è parso apprezzare soprattutto il versante musicale.
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