Il fascino della musica per archi tra Webern, Mendelssohn e Schubert
Il primo appuntamento di Musica con vista a Parma ha visto protagonista il Quartetto Noûs e il violoncello di Jacopo Di Tonno
Un percorso piacevole, tratteggiato attraverso la declinazione della musica per archi di compositori quali Webern Mendelssohn e Schubert, quello proposto nell’accogliente cornice del nel Chiostro di Sant’Uldarico, luogo scelto quale prima tappa degli appuntamenti parmigiani della rassegna Musica con vista, originale festival che percorre idealmente l’Italia seguendo il filo della musica, con concerti cameristici en plein air in alcuni dei luoghi più suggestivi del Paese.
Una proposta culturale accolta con partecipazione anche dal pubblico di Parma, a giudicare dalla folta presenza in occasione di questo concerto organizzato dal Comitato Amur, dalla Società dei Concerti di Parma – membro locale dello stesso Comitato Amur – con la collaborazione de Le Dimore del Quartetto e dell’Associazione Dimore Storiche Italiane.
Un viaggio nel repertorio della musica per archi, si diceva, che ha visto protagonista nella prima parte della serata il Quartetto Noûs – vale a dire Tiziano Baviera e Alberto Franchin ai violini, Sara Dambruoso alla viola e Tommaso Tesini al violoncello – impegnato in una pregnante esecuzione di Langsamer Satz di Anton Webern, seguita dalla efficace lettura del Quartetto per archi n. 6 op. 80 di Felix Mendelssohn Bartholdy.
Considerando il suo debito nei confronti di una certa materia cameristica brahmsiana e il suo impianto sostanzialmente tonale, potremmo definire Langsamer Satz una sorta di lavoro di “Webern prima di Webern”, scritto nel 1905 dopo un solo anno dall’inizio del suo apprendistato viennese presso Arnold Schönberg e tre anni prima dalla sua emblematica Passacaglia per orchestra, composta nel 1908 ma pubblicata solo nel 1922. Rispetto alla cifra atonale ed “ermetica” del Webern più accreditato, in Langsamer Satz emergono significative densità timbrico-dialogiche che il Quartetto Noûs è riuscito a restituire con compatta e precisa espressività, regalandoci una cifra interpretativa dinamica e coinvolgente, attitudine riproposta poi nella seguente pagina mendelssohniana. Qui i quattro musicisti sono riusciti a restituire il Quartetto n. 6 in fa minore op. 80, scritto da Mendelssohn in memoria dell’amatissima sorella Fanny scomparsa prematuramente nel maggio 1847, con un gusto al tempo stesso incisivo e misurato, capace di attraversare i quattro movimenti con una espressività compatta e mai affettata.
Un carattere confermato anche in occasione della seconda parte del programma, che ha proposto l’intenso impianto espressivo tratteggiato dalla densità musicale raccolta nel Quintetto per archi in do maggiore di Franz Schubert op. 163 D. 956, significativo tassello dell’ultima stagione compositiva dell’autore viennese. Una pagina che rappresenta un esempio di cristallina ispirazione distillata in un’opera terminata a poche settimane dalla morte dell’autore e collocata al fianco dello Schwanengesang D.957 – non a caso, questa serata parmigiana è stata titolata, appunto, “il canto del cigno” – oltre all’ultimo trittico di Sonate per pianoforte D.958-960 e alla Decima Sinfonia D.936a.
Un’opera emblematica, insomma, della quale abbiamo seguito un’interpretazione decisamente convincente grazie allo stesso Quartetto Noûs arricchito dal solido violoncello di Jacopo Di Tonno, chiamato a sostituire il previsto Enrico Bronzi resosi indisponibile per motivi di salute.
Alla fine tanti applausi e un bis hanno chiuso una bella serata che ha saputo celebrare nel migliore dei modi alcune tra le più significative pagine del ricco repertorio di musica per archi.
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