Opera italiana: Campogrande racconta 60 anni in musica

Dal 3 agosto in prima assoluta al Festival della Valle d'Itria di Martina Franca

Bozzetti di Giada Masi per Opera Italiana
Bozzetti di Giada Masi per Opera Italiana
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Sebastian F. Schwarz, al suo primo anno come direttore artistico del Festival della Valle d’Itria ha voluto rendere omaggio alla storia del teatro d’opera che sta per compiere 450 anni «scegliendo cinque opere rappresentative di cinque secoli di eredità storica». Così sono state rappresentate Il Xerse di Cavalli (1655), La scuola de’gelosi di Salieri (1778/83), Beatrice di Tenda di Bellini (1833), Le joueur di Prokofiev (1929): e  il 3 agosto alle 21 nell'Atrio di Palazzo Ducale debutta in prima assoluta Opera italiana composta da Nicola Campogrande nel 2011, Alessandro Cadario dirige l’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, regia di Tommaso Franchin, scene di Fabio Carpene, costumi di Giada Masi, luci di Alessandro Carletti, cantano Cristin Arsenova (Opera), Candida Guida (Scellerata), Raffaele Abete (Soldini), Gurgen Baveyan (Mario ), Yuri Guerra (Balconi), Claudio Bonfiglio (Quello che suona). Replica il 5 agosto. Ne abbiamo parlato con Nicola Campogrande.

Come è nata l’idea di comporre Opera Italiana?

«In occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia (2011) il Comitato Nazionale per le celebrazioni volle commissionarmi un’opera, su libretto di Elio e Piero Bodrato. Avrebbe dovuto essere rappresentata a Torino, per una quarantina di recite, e poi girare per varie città. Ma, come qualcuno ha notato con sagace ironia, un’opera dedicata al nostro Paese non poteva che risentirne, in termini produttivi. E così ci è capitato di aspettare sino ad oggi per vederla in scena».

Cosa c’è di classico, di tradizionale e di nuovo?

«È un’opera: il pubblico ritroverà dunque strutture e modalità che, da Monteverdi a Puccini, ci sono diventate familiari. Ma è un’opera che nasce oggi, adesso, e dunque si appoggia sul passato per andare avanti, raccontare il presente e, chissà, magari consegnarlo al futuro. A voci della tradizione (soprano, tenore, baritono, basso) si accosta dunque un contralto che ogni tanto canta con voce non impostata; e nell’organico dell’ensemble, insieme agli strumenti consueti (legni, ottoni, percussioni, archi), ci sono una chitarra elettrica e un basso elettrico. C’è anche un personaggio che non canta ma si esprime suonando il pianoforte: è il vicino di casa musicista che molti di noi hanno (nell’opera si chiama “Quello che suona”) e che sopportano con un misto di ammirazione e rassegnazione…».

Come hai lavorato con i librettisti Elio e Bodrato?

«A stretto contatto. All’inizio ci siamo chiusi in un appartamento, a Milano, per alcuni giorni: lì abbiamo definito il carattere generale dell’opera, i personaggi, il tipo di linguaggio con il quale si sarebbero espressi – il libretto abbonda di riferimenti a slang delle diverse epoche, a slogan pubblicitari, a mode e manie linguistiche. Poi Elio ha regalato i guizzi, Piero Bodrato ha portato avanti il lavoro certosino e io, come sempre accade in questi casi, mi sono riservato la possibilità di chiedere qualche piccolo cambiamento mentre componevo, quando sentivo la necessità di una sillaba in più, di un aggettivo più espressivo, di una parola in meno».

Perché la scelta di raccontare 60 anni della nostra storia?

«Opera italiana racconta l’Italia dagli anni Sessanta ad oggi. Sono gli anni che, considerando il gruppo degli autori, abbiamo vissuto collettivamente (Elio è del 1961, Piero Bodrato del 1962, io del 1969); e sono anni nei quali abbiamo visto trasformarsi il nostro Paese, dal boom dei consumi al terrorismo, dall’ubriacatura di ottimismo e televisioni degli anni Ottanta al crollo di quel mondo, fino alla finanza virtuale, alla passione per il mondo green e alle contraddizioni del presente. Sono temi che affrontiamo in modo allegro, spesso molto buffo – in Opera italiana si ride e si sorride – senza sottrarci però a riflessioni amare, talvolta drammatiche, su ciò che l’Italia ha attraversato».

E’ un’opera per tutti? Ovvero grandi e bambini, chi va a teatro e chi non ci va?

«È senz’altro un’opera per tutti. La storia è semplice da seguire, le melodie sono inventate inseguendo la bellezza, la piccola orchestra tira fuori un arsenale di timbri e colori davvero variegato. Se sei un melomane colto, cogli la matrice della tradizione e la nuova direzione che provo ad imprimere al fatto di scrivere un’opera lirica oggi; se è la prima volta che ascolti un’opera, non è affatto male cominciare da un titolo che parla di te, della tua vita, del mondo che ti circonda».

Qual è il messaggio? E’ la passione che muove il mondo?

«Mario, il protagonista che in fondo rappresenta l’icona stessa dell’Italiano, ha un progetto: costruire un generatore di energia che permetta di funzionare a tutti gli elettrodomestici installati nel grande condominio in cui abita, evitando dunque i continui black-out. Ma il generatore non funziona sino a che la sua storia d’amore con un’inquilina-cantante (si chiama Opera) non sboccia davvero. Solo la passione tra Mario e Opera permetterà al generatore di mettersi in funzione. E dunque sì, in fondo è la passione che muove il mondo».

Metterla in scena a Palazzo Ducale, all’aperto, ti ha fatto modificare qualcosa?

«No: l’opera è esattamente quella composta dodici anni fa. E il fatto che sia rappresentata all’aperto non fa nessuna differenza. Negli scorsi mesi, rileggendo la partitura quando stava per andare in stampa per la Breitkopf & Härtel, mi ero posto nello stato d’animo più neutro ed ero pronto a intervenire, se mi fosse sembrato necessario. Ma in realtà è rimasto tutto com’era, tranne una parola: dove si parlava di iPod adesso si parla di iPad!».

Lo so che è presto, ma…sono previste altre recite altrove?

«Dopo le amarezze di anni passati, avari di bellezza, in questo momento nel mondo si scrive musica eccitante, divertente, godibile, profonda. Purtroppo non tutti se ne sono accorti. Quando questo accadrà, i teatri riprenderanno a passarsi l’un l’altro le nuove partiture che funzionano, e ogni anno potremo ascoltare, in ogni parte del Paese, quello che i compositori scrivono e regalano al pubblico. Fino a quel momento, le riprese delle nuove produzioni continueranno ad essere rare, episodiche. Io sono molto ottimista per Opera italiana, perché è una partitura che, in queste settimane di prova, sta incantando il cast e chi curiosa tra arie e duetti; ma vorrei essere ottimista anche per il sistema nel suo complesso: nuove opere, forti e belle, ormai ci sono; fatecele ascoltare, spesso e ovunque».

 

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