Il viaggio esistenziale di Ulisse
L’opera raramente rappresentata di Luigi Dallapiccola dedicata all’eroe omerico conclude la stagione dell’Oper Frankfurt
“Trovar potessi il nome, pronunciar la parola / che chiarisca a me stesso così ansioso cercare; / che giustifichi questa mia vita, il lungo errare, / che rassereni l’ora che rapida s'invola. / Guardare, meravigliarsi, e tornar a guardare. / Ancora: tormentarmi per comprendere il vero”: danno il senso di una tormentata ricerca del significato dell’esistenza queste parole pronunciate da Ulisse a conclusione dell’opera di Luigi Dallapiccola, autentica summa di un lungo percorso artistico che comincia a confrontarsi con quella figura mitologica per quasi trent’anni. Risale al 1938, infatti, la proposta arrivata da Léonide Massine di comporre le musiche per un balletto ispirato all’Odissea, un progetto abbandonato dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale. A questa fece seguito la commissione del Maggio Musicale Fiorentino nel 1941 di rielaborare per un’orchestra moderna Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi, ma un ruolo di stimolo lo esercitò anche il ricordo di un vecchio film muto L’Odissea di Omero di Giuseppe De Liguoro del 1911 visto dal compositore all’età di otto anni ma rimasto ben impresso nella sua memoria. Non furono estranei alla sua ispirazione nemmeno i versi dedicati da Dante all’eroe omerico, con il quale il protagonista dell’opera di Dallapiccola condivide molte caratteristiche e soprattutto l’urgenza del conoscere. Pochissimo rappresentata sulle scene liriche dopo il debutto alla berlinese Deutsche Oper nel 1968, che ebbe la direzione musicale di Lorin Maazel, l’Ulisse di Dallapiccola arriva in una nuova produzione nella versione tedesca (di Carl-Heinrich Kreith, la stessa della prima berlinese) a conclusione della stagione dell’Oper Frankfurt, che ripropone un lavoro di Dallapiccola vent’anni dopo il fortunato dittico Volo di notte e Il prigioniero.
L’opera – rigorosamente costruita su un reticolo di serie dodecafoniche originate da una serie madre denominata “mare I” e strutturata simmetricamente in 13 episodi, ognuno dei quali dalle precise caratteristiche di colore – si apre sulla spiaggia dell’isola Ogigia con il lamento della ninfa Calipso fresca di abbandono da parte di Ulisse, fuggito alla promessa di immortalità per inseguire la sua vocazione di “guardare, meravigliarsi e tornare a guardare”. Ulisse è quasi completamente nudo quando compare sulla scena, sospinto dalla furia del mare mosso da Poseidone verso l’isola dei Feaci, dove, come nel poema omerico, a re Alcinoo, alla figlia Nausicaa e a tutta la corte racconta e rivive il suo passato: il seducente mondo dei Lotofagi, che offrono a Ulisse i frutti per vivere senza timore del futuro e senza rimpianto per ciò che è passato, e le seduzioni di Circe, la donna che gli ha donato “un’altra vita, un’altra giovinezza e un’altra conoscenza”, svelandogli la chiave psichica dei suoi mostri (“non avresti incontrati mai Ciclopi né Lestrigoni, Ulisse, / se non li avessi avuti già nel cuore”) e profetizzandogli il destino che l’attende dopo il ritorno in patria (“In Itaca invano cercherà pace il tuo cuor tormentato, e ancor ti spingerà sul vasto mare ... ancora, ancora ... sino all’ultimo giorno”). E quindi nel regno dei Cimmeri il tenero incontro con la madre, ormai non più fra i viventi. La discesa nel mondo dei morti marca la fine del racconto ai Feaci e il punto di svolta nella vicenda, che, nel secondo atto, si sposta a Itaca per l’atteso ritorno di Ulisse, la riunione con Penelope e il figlio Telemaco e la liberazione dall’assedio dei Proci. La trama narrativa si dissolve progressivamente per farsi più immateriale: la riunione fra i due coniugi è risolta in maniera puramente musicale, mentre il finale vede Ulisse, nuovamente solo, riprendere il viaggio alla ricerca del senso dell’esistenza.
L’allestimento firmato dalla regista Tatjana Gürbaca in uno spazio unico, immaginato dallo scenografo Klaus Grünberg come un moderno e anonimo parcheggio sotterraneo abitato da una folla di turisti (e Ulisse è solo un “nessuno” di loro), per molti versi banalizza l’opera, probabilmente più adatta a essere rappresentata in forma oratoriale, spettacolarizzando i diversi episodi in stridente contrasto con l’austera natura e la vocazione poetica del lavoro di Dallapiccola. Coerentemente con l’intenzione del compositore, Ulisse resta figura pivotale in un intreccio, che non ha la complessità drammaturgica di un’opera in senso stretto e che è costruito su proiezioni più che su personaggi a tutto tondo. Probabilmente animata dalla volontà di non far annoiare il pubblico, Gürbaca riempie i vuoti con un eccesso di narrazione, che finisce per depotenziare sul piano poetico gli enigmatici silenzi. La scena fissa, del resto, è affastellata di presenze chiassose e vestite con costumi eccessivamente rutilanti e sguaiatamente dimostrativi di Silke Willrett, comenell’esasperata scena dell’orgia dei Proci.
Sul podio della Frankfurter Opern- und Museumorchester il direttore Francesco Lanzillotta è attento soprattutto a rendere in maniera fluida lo sviluppo musicale, talora arduo, ma a restituire anche l’introversa cantabilità della scrittura vocale. Sulla scena, la compagine di canto anche in questa produzione dell’Oper Frankfurt si fa apprezzare soprattutto per la prova d’insieme, alla quale il Coro dell’Oper Frankfurt, anche se in formato ridotto a causa dei molti contagi da Covid, apporta un contributo fondamentale. Molto riuscita comunque la prova del protagonista, il giovane baritono Iain MacNeil, mentre lasciano meno il segno le presenze femminili, specialmente Juanita Lascarro, impegnata nel doppio ruolo di Calypso e Penelope, e Annette Schönmüller, subentrata all’ultimo momento nel doppio ruolo di Circe e Melanto (ma solo vocale, perché in scena c’è Alona Mokiievets), ma anche Sarah Aristidou come Nausicaa, Julia Bell come lotofaga, e le due ancelle di Marvic Monreal e Stefanie Heidinger. Più intense le prove di Claudia Mahnke nel breve ruolo della madre Anticlea, così come quelle di Danylo Matviienko, un virilissimo Antinoo, di Andreas Bauer Kanabas, un corposo re Alcinoo, Brian Michael Moore, un sensibile Eumeo, e dell’istrionico Yves Saelens, Demodoco e Tiresia. Molto debole, infine, la presenza scenica e vocale di Dmitry Egorov come Telemaco.
Se la scelta difficile dell’Oper Frankfurt non paga troppo dal punto di vista delle presenze in sala, raccoglie comunque l’apprezzamento piuttosto caloroso dello scarso pubblico presente.
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