Tatiana nel bosco
Napoli: successo per Onegin diretto da Luisi
È un Čajkovskij cresciuto all’ombra di Wagner, quello che ha felicemente calcato il palcoscenico del Teatro di San Carlo dal 15 al 26 giugno – una produzione della Komische Oper Berlin - e firmata da Barrie Kosky. Non sono solo i costumi di Klaus Bruns, a evocare l’amore romantico, impregnati di un Ottocento vaporoso e sensuale, ma anche la scelta stilistica di fondo, realistica e simbolica insieme. La vicenda, raccontata dettagliatamente, coi gesti quotidiani e le ricorrenze di compleanni, è avvolta dal contenitore fragile di un bosco della Russia occidentale, di Rebecca Ringst, ultimo baluardo di un dramma di lì a poco di amore e morte. Ma nella casa e giardino della residenza estiva dei Larin i costumi sono già spregiudicati, gli ordini sociali sovvertiti: Lenskij dichiara appassionatamente il proprio amore a Ol’ga. Tat’jana è compassata, invece e attenta alle etichette, perché come una ragazza felice e innamorata si sdraia a pancia in giù con le gambe incrociate libera e spensierata di scrivere d’amore. Fedele al libretto, Evgenij Onegin di Kosky si permette accenti esplicativi da commedia, come il momento di Triquet, le scene con il coro oppure la Balia ritratta come una popolana energica, tuttofare, buffa più del solito nel volersi occupare di tutto e di tutti. Nell’impianto scenico, fisso per i primi due atti, risulta molto funzionale la pedana girevole centrale, un giardino fatato dove tutto confluisce e che attira su di sé come un magnete ogni azione. Nella rotazione dona movimento alla quinta di fondo, con alberi, funzionali ai nascondigli, e al duello. E come sempre meno problematico l’interno di una casa aristocratica di San Pietroburgo – con mobilio – nel finale terzo atto. Motivata è l’idea di Kosky di immaginare tutto in giardino nei primi due atti, ma la scena della lettera di Tat’jana avrebbe meritato una realizzazione meno essenziale – forse immaginaria – e diversa. In buca l’esperto Fabio Luisi, corretto negli equilibri, di bel suono sull’Orchestra, prudente negli stacchi ritmici. Primadonna nella compagnia era la Tat’jana splendida di Elena Stikhina, voce timbrata, perfetta nella sua scena e negli intrecci con la balia Filipp’evna, Larissa Diadkova e con la Ol’ga un po' gridata di Nino Surguladze e con la madre Larina tenera, giustamente concreta di Monica Bacelli. Un fronte maschile tanto agguerrito: Onegin era il bravo Artur Rucinski e Lenskij di grande interpretazione, pathos e nostalgia Michael Fabiano. Sipario poco prima della mezzanotte e tanti applausi. Quest’opera mancava al San Carlo dal 2014 con la Remigio, e solo una volta fu allestita nel Ventesimo secolo (1954) con la regia di Pietro Scharoff e la direzione di Tullio Serafin.
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