Alla Monnaie tornano Les Huguenots
Trascinante la direzione di Evelino Pidò
Finalmente, dopo uno stop di 10 giorni causato da un focolaio di Covid, è andata in scena alla Monnaie di Bruxelles la ripresa dell’allestimento firmato Olivier Py de Les Huguenots di Roberto Meyerbeer, una produzione dello stesso teatro del 2011, allora ben accolta da pubblico e critica. A dieci anni di distanza l’allestimento convince meno, ma la riuscita della parte musicale è assicurata dalla direzione del maestro Evelino Pidò e da un’ottima prova dell’orchestra che, malgrado non siano state effettuate né la pre-generale né la prova generale, alla prima, dopo un inizio un po’ lento e poco fluido, ma con uno splendido assolo della viola d’amore, trova presto il giusto slancio e consente di non perdere la concentrazione sulla musica per le oltre quattro ore del grand opéra con momenti di grande intensità. Molto intenso anche l’assolo del flauto e magnifici gli ensemble con il coro in cui la direzione di Pidò è trascinante ed entusiasmante.
Una direzione musicale sempre molto attenta anche alle voci, molte al loro debutto nel ruolo, quelle femminili più interessanti delle maschili. Ottime quelle del mezzosoprano francese Karine Deshayes, una ben determinata e innamorata sino alla morte Valentine, e quella del raffinato soprano Lenneke Ruiten come Marguerite de Valois. Una bella scoperta quella del mezzo francese Ambroisine Bre nei panni del paggio Urbain, quest’ultima dal bel timbro squillante e tanta verve, deliziosamente divertente ed unica nota brillante in una messa in scena tanto cupa. Al debutto come Raul anche Enea Scala, con i soliti acuti forzati ed un’interpretazione non convincente del personaggio. Elegante e nobile invece Vittorio Prato nel ruolo di Nevers, sopratutto nella seconda parte dell’opera, poi bravo il russo Alexander Vinogradov come Marcel con belle note basse sonore e piene, e adeguato anche il baritono basso Nicolas Cavallier come il Comte de Saint-Bris.
Tornando all’allestimento, che senza dubbio si fa ammirare all’inizio per bellezza, imponenza e complessità delle scene, con il sapore del grand opéra, è ricco ma stanca presto per la sua uniformità su tinte scure, anche l’oro è color antico, e sopratutto con i soliti amplessi in primo piano, nudi gratuiti e riferimenti sadomaso (il cane-uomo al guinzaglio). Un allestimento e una regia, tipici dell’estetica di Olivier Py, che in questo caso sono sovente in contrasto con quanto cantano i protagonisti, sopratutto nel secondo atto, quando la giornata di sole è stata trasformata in un notte di luna piena e Marguerite de Valois afferma che non vuol conquistare Raul ed invece la si vede con lui in un amplesso dopo altro, con effetto ridicolo, senza nulla aggiungere all’approfondimento della psicologia dei personaggi. Anche i balletti risultano avulsi dalla storia e finiscono per stancare sembrando superflui. Reggono invece alla prova del tempo i costumi, pure di Pierre-André Weitz come le scene, che mescolano le epoche dal cinquecento ad oggi. Sala non piena, ma alla fine applausi, sopratutto per il direttore Evelino Pidò.
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