Radu Lupu è morto
Il grande pianista romeno aveva settantasei anni ed era malato da tempo
Radu Lupu, uno dei più grandi pianisti degli ultimi decenni, si è spento nella notte del 17 aprile a Losanna. Era nato a Galati in Romania il 30 novembre 1945. Da alcuni anni le sue condizioni di salute non erano buone e da tre anni si era ritirato dall’attività concertistica.
Era l’erede di due grandi tradizioni pianistiche, avendo studiato in patria con Florica Musicescu, che era stata l’insegnante anche di Dinu Lipatti, e poi nell’URSS con Heinrich Neuhaus, insegnante di Sviatoslav Richter, Emil Gilels e tanti altri grandi pianisti, russi e non solo. Ma in realtà non era possibile ricondurlo a nessuna pur grande scuola, anzi si dichiarava autodidatta. La sua carriera fu lanciata dalle vittorie in alcuni concorsi internazionali, il Van Cliburn nel 1966, l’Enescu nel 1967 e il Leeds nel 1969, ma non era assolutamente il tipico pianista da concorso, perché la sua tecnica non era pirotecnica, mentre le sue interpretazioni erano molto personali. Effettivamente era un pianista diverso da tutti gli altri, “un musicista che sapeva trasformare la musica in magia”, come si legge nel comunicato con cui il Festival Enescu di Bucarest che ne ha annunciato al mondo la morte.
Il suo repertorio era vasto e spaziava da Bach ai grandi del Novecento, ma con gli anni si era andato concentrando sempre più su alcuni autori, Mozart, Beethoven, Schumann, Brahms e soprattutto Schubert, della cui musica è stato un apostolo convinto e convincente.
Era un personaggio schivo, anche un po’ ombroso. Non concedeva interviste, non amava incidere dischi ma quelli che ci ha lasciato sono tutti di altissima qualità, non si presentava come divo, ma semmai come antidivo: entrava in sala da concerto con la barba e i capelli incolti e un abito trascurato, si sedeva su una semplice sedia, senza stare ad aggiustare al millimetro l’altezza dello sgabello come tanti pianisti che vogliono così far capire, ancor prima di cominciare a suonare, che sono dei perfezionisti. No, lui non era un perfezionista, certi suoi concerti potevano anche essere un po’ deludenti, ma la maggior parte delle volte – ripetiamolo – trasformava la musica in magia.
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