Bergamo Jazz 2022, la rinascita tra avanguardia e tradizione

Per la 43esima edizione lo storico festival ha ritrovato la sua classica dimensione dal vivo, diffusa e partecipata

Ava Mendoza (foto Luciano Rossetti)
Ava Mendoza (foto Luciano Rossetti)
Recensione
jazz
Bergamo
Bergamo Jazz Festival 2022
17 Marzo 2022 - 20 Marzo 2022

Si ritorna dal vivo. Si ritorna dal vivo anche al Bergamo Jazz Festival, dopo un 2020 infausto e un 2021 con un’edizione a settembre, meno ampia ma molto apprezzata dal pubblico, a salvare il salvabile in tempi di pandemia. Si ritorna dunque dal vivo, e ritornano anche il desiderio e il piacere di ascoltare musica nei tanti suggestivi e vari luoghi del festival – i teatri, l’Accademia Carrara, i club che collaborano con la sezione “Scintille di Jazz”, curata da Tito Tracanna – il tutto al massimo della capacità, con qualche sparuto posto libero se non sempre sold out. Si ritorna, superato quell’attimo di sottile spaesamento nel ritrovarsi in città, da affezionati lontani del festival, dopo due anni di assenza dal consueto appuntamento di marzo, a segnare l’inizio della primavera.

Un’edizione dunque molto attesa, questa, che si snoda su più percorsi ideali – come già ricordato dalla direttrice artistica Maria Pia de Vito dal focus sul pianismo di oggi (rappresentato qui da Vijay Iyer, Fred Hersch, Brad Meldhau, Antonello Salis, Tania Giannuoli, Alessandro Lanzoni), all’alternanza tra nomi consolidati della tradizione e musicisti emergenti e sperimentali, senza dimenticare gli eventi che completano il fitto programma musicale, tra gli incontri sul jazz per bambini e ragazzi e la fotografia ‘rubata’ o di posa, ma sempre di grande impatto emotivo, di Jimmy Katz – frutto di uno sguardo sapiente e di una non comune intimità con i musicisti ritratti –, con la sua mostra “Closed Session”.

Vijay Iyer Trio (foto Luciano Rossetti-PHOCUS)
Vijay Iyer Trio (foto Luciano Rossetti)

Si comincia dunque giovedì 17 marzo, con i primi concerti pomeridiani e un appuntamento serale in città alta, Vijay Iyer e uno dei suoi trii (Matt Brewer contrabbasso, Jeremy Dutton batteria), che non deludono le aspettative del pubblico in un gremitissimo Teatro Sociale. Si presenta in tutta apparente semplicità, il leader di questa formazione – «My name is Vijay Iyer, I play the piano, I live in New York City» – come solo apparentemente ‘semplice’ è la musica che propone, tratta in gran parte dall’ultimo lavoro del 2021, Uneasy (già segnalato da più parti tra i migliori dischi dell’anno passato): sorta di ‘minimalismo’ fitto e serrato, propulsione e slancio in avanti, grande intesa di un piano trio attentissimo anche alle dinamiche, in un concerto raffinato dove la ricerca si avvicina al limite senza oltrepassarlo – punto di forza o di debolezza, a seconda delle prospettive.

Più agilmente collocabile risulta la successiva proposta del batterista Roberto Gatto e del suo nuovo quartetto, che accoglie al suo interno alcuni dei più interessanti giovani musicisti italiani del momento: Alessandro Lanzoni al pianoforte, Matteo Bortone al contrabbasso e Alessandro Presti alla tromba. Proposta nel solco della tradizione, tra composizioni originali di Gatto e dei suoi sodali – tratte dal secondo e più recente album di questa formazione (My secret places, 2021) – e rivisitazioni di standard: musica calda e distesa, con qualche eco nervosa del nostro tempo, a completare la serata.

 Roberto Gatto (foto Fabio Gamba)
Roberto Gatto, Alessandro Lanzoni, Matteo Bortone, Alessandro Presti  (foto Fabio Gamba)

Ma con il secondo giorno di festival, venerdì, arriva anche il primo appuntamento pomeridiano all’Auditorium di piazza Libertà, dove per consuetudine sono attesi concerti alla scoperta, o riscoperta, di nuovi talenti e nuove proposte, e dove ritroviamo quest’anno Arve Henriksen, che a Bergamo Jazz si era esibito già nel 2008 con Jan Bang e Morten Qvenild, e che qui emerge come elemento centrale, con la sua tromba suonata a mo’ di shakuhachi e l’uso altrettanto peculiare della voce, del trio del chitarrista danese Jakob Bro, sullo sfondo la batteria timbrica e discreta di Jorge Rossy. Spazi dilatati, pianissimo, rarefazione: jazz europeo di declinazione eterea, che sa catturare i più in un viaggio trasognante agli antipodi del black e del blue, e con un’intensità per sottrazione e incantamento.

Jakob Bro Trio (foto Fabio Gamba)
Jakob Bro Trio (foto Fabio Gamba)

Di tutt’altra temperie sonora sono i due concerti serali made in USA al Donizetti, con il Fred Hersch Trio ed Enrico Rava al flicorno come special guest, prima, e il progetto per quartetto “Fairgrounds” di Jeff Ballard poi. Set molto apprezzati entrambi dal pubblico, con l’autorevolezza di due veterani del jazz come Hersch e Rava (già incontratisi musicalmente nel 2021 e con un disco in arrivo) e una mirabile sezione ritmica (Joey Baron, Drew Gress) in grande sintonia con i due co-leader da un lato; dall’altro, le ultime generazioni afroamericane e non del jazz oltreoceano – l’altosassofonista Logan Richardson, il contrabbassista Joe Sanders, il chitarrista Charles Altura, collaborazioni importanti e progetti che si snodano tra afrofuturismo, raffinato mainstream e grande versatilità – riunite attorno a Ballard in una nuova formazione che potrà dare ancora molto in futuro.

Fred Hersch - Enrico Rava (Luciano Rossetti-PHOCUS)
Fred Hersch - Enrico Rava (foto Luciano Rossetti)

E infine, sabato mattina, ecco un’ultima occasione per farsi trascinare dal suono prima di lasciare purtroppo il festival – che pure continuerà ancora per due intere giornate – ed è un concerto di quelli che restano nel cuore e nella mente. Nell’annunciarlo, la direttrice dell’Accademia Carrara sottolineava il fatto che per l’edizione 2022 di Bergamo Jazz avrebbe desiderato accogliere una musicista, e la risposta della direttrice artistica Maria Pia de Vito non si è fatta certo attendere, con una proposta che al meglio ha reso ciò che le donne possono dare al jazz del presente e del futuro.

Donne come Ava Mendoza, chitarrista, cantante e compositrice cresciuta in California ma ben presto approdata a Brooklyn – città nella città e fertile humus per i più esplosivi esperimenti nel segno dell’avanguardia e dell’ibridazione – a tracciare nuove traiettorie, incorporando generi e stili in un tutt’uno organico e coerente, sfruttando tutte le corde, metaforiche e non, del suo strumento, dall’arrabbiato al malinconico, dal quasi solare allo scuro; vuoto e pienissimo, sperimentazione, blues sporco avant-rock: pura materia pulsante.

Ava Mendoza (foto Luciano Rossetti-PHOCUS)
Ava Mendoza (foto Luciano Rossetti)

Si staglia decisa ed emotivamente imponente sullo sfondo de “La morte di Antigone” di Giuseppe Diotti (recentemente restaurato e restituito a tutta la sua bellezza), quest’artista non ancora quarantenne ma già con un fittissimo percorso di jazz sperimentale alle spalle – a fianco di figure come ad esempio Rova Saxophone Quartet, William Parker, John Zorn, Fred Frith, J.B. Lewis, e proveniente da esperienze rock, prog-punk e bluesy – in un ideale contrasto con Antigone trascinata al supplizio e Argia in esilio, squarciando il dramma con la sua chitarra emozionale, passionale, ieratica.

Menzionata già nel 2011 dalla rivista “Guitar World” come una delle 10 chitarriste al mondo che si dovrebbero conoscere, l’abbiamo ora finalmente conosciuta grazie a Bergamo Jazz Festival: un festival che, alla sua 43esima edizione, di nuovo non manca di sorprendere e di appassionare, in un delicato equilibrio tra tradizione di qualità e pericolosa  avanguardia senza rete.

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